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Immigrazione: 11 anni della legge Bossi-Fini in Italia

La storia dell’attuale normativa sull’immigrazione entrata in vigore il 10 settembre 2002 nel corso del secondo governo Berlusconi

Roma, 4 ottobre 2013 – La tragedia avvenuta ieri mattina al largo di Lampedusa riaccende la polemica sul tema dell’immigrazione e sulla necessità o meno di modificare la legge Bossi-Fini.

Entrata in vigore il 10 settembre 2002, nel corso del secondo governo Berlusconi, e che prende il nome dall’allora leader della Lega Nord Umberto Bossi e da quello di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, primi firmatari che ricoprivano rispettivamente le cariche di ministro per le Riforme istituzionali e la Devoluzione e vicepresidente del Consiglio dei ministri.

La legge divide subito l’opinione pubblica e i partiti (alcuni di questi, come il Carroccio, ne hanno fatto un baluardo della loro lotta politica, altri ne chiedono l’abolizione), e numerosi sono stati i richiami da parte del Consiglio d’Europa e degli organismi internazionali.

La ‘Bossi-Fini’ nei fatti non è riuscita a frenare gli ingressi e ha provato invece a ridurre la permanenza sul territorio degli immigrati. L’esatto contrario di quanto suggerito dall’Unione Europea che chiede politiche di integrazione per chi è già all’interno di un Paese e flussi di ingresso più contenuti. Si fa riferimento dunque alla convenzione di Schengen del 1990 che abolisce le frontiere interne ai Paesi Ue stabilendo la libera circolazione delle persone. L’eliminazione delle frontiere interne richiede invece una gestione rafforzata delle frontiere esterne dell’Unione nonché un ingresso e un soggiorno regolamentati dei cittadini extra UE, anche attraverso una politica comune di asilo e immigrazione.

La legge Bossi-Fini stabilisce di dare il permesso di soggiorno a chi ha un lavoro che gli consenta il mantenimento economico. La norma ammette i respingimenti al Paese di origine in acque extraterritoriali, in base ad accordi bilaterali fra Italia e Paesi limitrofi che impegnano le polizie dei rispettivi Paesi a cooperare per la prevenzione dell’immigrazione clandestina e per chi non può avere un regolare permesso di soggiorno. Le navi di clandestini non possono attraccare sul suolo italiano, l’identificazione degli aventi diritto all’asilo politico e a prestazioni di cure mediche e assistenza avvengono nei mezzi delle forze di polizia in mare. Per tale ragione gli immigrati si gettano in mare dai barconi provando ad arrivare a riva ma spesso trovano la morte.

La legge prevede inoltre pene per i trafficanti di esseri umani, una sanatoria per colf, assistenti ad anziani, malati ed portatori di handicap, lavoratori con contratto di lavoro di almeno un anno e l’uso delle navi della Marina Militare per contrastare il traffico di clandestini. A queste regole generali si aggiungono i permessi di soggiorno speciali e quelli in applicazione del diritto di asilo. Ma Amnesty International ha evidenziato nel Rapporto Annuale 2006 che, nonostante l’Italia aderisca alla Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati, la legge Bossi-Fini non è considerabile una legge specifica e completa sul diritto di asilo, come previsto dall’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che riconosce il diritto di cercare e di godere in altri Paesi di asilo dalle persecuzioni e riconosce lo status di ‘rifugiato politico’ a chiunque si trovi al di fuori del proprio Paese e non possa ritornarvi a causa del fondato timore di subire violenze o persecuzioni. Il riconoscimento di tale status giuridico deve essere attuato dai governi che hanno firmato specifici accordi con le Nazioni Unite, o dall’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

Il centrodestra, tornato al governo nel 2008 con un esecutivo targato Pdl e Lega Nord, ha varato il cosiddetto ”pacchetto sicurezza”, legge voluta fortemente dal Carroccio che continuava ad avere la lotta all’immigrazione come punto caratterizzante del suo programma. Le nuove norme danno più potere ai Sindaci e alla polizia locale: il primo cittadino può adottare provvedimenti urgenti al fine di prevenire ed eliminare pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana e può segnalare alle autorità gli stranieri irregolari. Il giudice può decidere di aumentare la pena fino ad un terzo qualora il reato sia commesso da un imputato straniero, presente in Italia in situazione di irregolarità. La riforma prevede poi che il giudice possa disporre l’espulsione del cittadino straniero – anche comunitario – a seguito di condanna alla reclusione superiore a due anni e stabilisce pene più severe per chi contravviene all’ordine di espulsione: da uno a quattro anni di carcere. L’inasprimento delle pene si estende anche al mercato del lavoro in nero e all’impiego di stranieri irregolari ed è previsto il carcere anche per chi affitta la casa a stranieri irregolari. I Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) cambiano nome trasformandosi in Centri di identificazione ed espulsione (CIE) mentre la permanenza degli stranieri si prolunga fino a 18 mesi. In merito al commercio abusivo, la legge prevede che l’autorità giudiziaria possa, con più facilità, ordinare la distruzione di merci di cui sono vietati la fabbricazione, il possesso e la detenzione o la commercializzazione quando sono di difficile custodia o la custodia risulta costosa o pericolosa.

 

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