Mi sento e mi fanno notare di essere troppo italiano in Albania, ma contemporaneamente straniero in Italia, in poche parole mi sembra di essere una persona invisibile, abbandonato dal paese che mi ha visto nascere e non considerato dal paese che mi ha visto crescere
Di Arbër Agalliu
Quando sono giunto in Italia da bambino non conoscevo il significato della parola “immigrato” ma sapevo che ormai faceva parte del mio “Nome e Cognome”. Col passare degli anni, diventando poco più grande, affrontavo l’argomento e spiegavo ogni volta a tutti la mia storia e la storia della mia famiglia, forse per togliermi di dosso quella parola “dispregiativa”.
Ho continuato la mia giovane vita rimbalzando da un commissariato ad una questura per i vari rinnovi dei documenti e la cosa che mi preoccupava di più era la giornata di scuola che perdevo stando lontano dai miei compagni di classe, anche perché di tutte quelle pratiche non capivo niente.
Ormai vivo in Italia da quindici anni, parlo meglio la lingua italiana rispetto all’albanese, conosco meglio la storia italiana rispetto alla storia albanese, ho vissuto più tempo a Montevarchi che a Tirana e nonostante tutto vengo ancora etichettato come immigrato.
La cosa che mi sorprende di più è il fatto di essere cresciuto con i miei coetanei italiani ma a livello giuridico essere considerato straniero quanto mio padre o mia madre, lo Stato non riconosce il mio processo di integrazione che è completamente differente dal loro. Addirittura per il Governo italiano non c’è nessuna differenza tra un ragazzino figlio di immigrati, nato in Italia e un suo coetaneo appena giunto in questo Paese, tutti e due vengono considerati come minori stranieri senza tenere conto dei due percorsi di vita e d’integrazione completamente diversi.
Quando mi iscrissi alle Scuole Superiori, parlavo perfettamente l’italiano, tantoché i professori decisero di affiancarmi ad una studentessa albanese per poterle dare una mano visto che quest’ultima era giunta in Italia da pochi mesi e non parlava la nuova lingua. I professori videro in me un mediatore linguistico-culturale ideale per poter comunicare con la nuova studentessa, ma per lo Stato io risultavo essere tale e quale a lei, alla nuova ragazza albanese giunta in Italia da pochi mesi, nonostante il mio percorso d’integrazione fosse ormai finito mentre il suo era solamente alle prime fasi …..in poche parole i miei anni trascorsi nello “stivale” non venivano presi minimamente in considerazione.
Eppure tutto questo tempo trascorso in Italia mi ha allontanato dalla cultura e dal paese da cui provengo, tanto da non rispecchiarmi più nella sua società odierna, mi sento e mi fanno notare di essere troppo italiano in Albania, ma contemporaneamente straniero in Italia, in poche parole mi sembra di essere una persona invisibile, abbandonato dal paese che mi ha visto nascere e non considerato dal paese che mi ha visto crescere!!
In vari paesi dell’Europa il percorso alla cittadinanza per i figli degli immigrati risulta essere molto più semplice. Ad esempio in Francia lo “ius soli” , che in Italia sembra un miraggio, esiste dal 1515, mentre in Germania la cittadinanza viene concessa ai bambini nati sul suolo tedesco se almeno uno dei due genitori risiede legalmente in questo paese da almeno otto anni. Un percorso ancora più semplificato è quello irlandese, dove un bambino può diventare cittadino semplicemente se uno dei genitori possiede un permesso di residenza permanente o dimostra di aver risieduto in Irlanda almeno tre anni prima dalla nascita del bambino.
Invece nel “bel Paese”, sembra che le cose non vadano mai avanti, ogni estate sentiamo parlare di emergenza immigrati nonostante l’immigrazione di massa esiste ormai dalla fine degli anni Ottanta, sentiamo parlare dei tanti immigrati che hanno invaso lo il territorio nazionale, mentre in altri paesi europei le cifre riguardanti la presenza degli immigrati sono assai superiori, addirittura in alcuni casi raddoppiano, ad esempio in Germania, dove solamente la comunità turca conta circa 3 milioni di persone.
In Italia ancora ci meravigliamo a vedere Mario Balotelli in Nazionale, nonostante quest’ultimo abbia nome e cognome tipicamente italiano, mentre la Germania o la Francia scende in campo con quasi mezza formazione composta da figli di immigrati e questo lo possiamo notare nei loro cognomi stampati sulle canotte di gioco, uno fra tutti Mesut Ozil, figlio di immigrati turchi e giocatore fuoriclasse della nazionale tedesca, che tutte le volte prima di entrare nel campo di gioco recita il Corano perché musulmano praticante. Immaginereste cosa direbbe l’On. Borghezio se un giocatore della Nazionale italiana fosse musulmano praticante?
Da noi invece ci sono ragazzi di seconda generazione trentenni che vengono ancora chiamati immigrati, ci sono giovani che vengono trattati da delinquenti, costretti a rilasciare le loro impronte digitali per rinnovare i documenti fino al compimento del diciottesimo anno d’età, questi giovani non si rispecchiano nella figura del potenziale delinquente, ma tutto questo succede solo perché i loro genitori hanno la colpa di essere immigrati, per di più questi ragazzi rischiano di diventare clandestini nell’unico paese che l’ha visti nascere e crescere e che ha dato loro una lingua e in molti casi un nome comune a quelli usati da tutti i loro coetanei.
Invito i cari politici a cambiare la legge n.91 del 1992 che si può definire obsoleta in materia d’immigrazione, basta giocare con i nostri destini, CHI NASCE IN ITALIA E’ ITALIANO!!!
Arbër Agalliu ha 24 anni, vive in Italia (Montevarchi) da 15 anni. Studia presso l’università Cesare Alfieri di Firenze, facoltà di Scienze Politiche indirizzo “media e giornalismo”. È attivo nell’ambito sociale e dell’immigrazione a livello regionale ed è co-fondatore di RAT (Rete degli Albanesi in Toscana).