Ama la lirica: “Nonostante una parte del mio tempo è dedicato agli impegni familiari, il canto resta la mia priorità di vita”. E sogna ancora la sua amata Scutari lasciata 25 anni fa: “Rimane un mio grande desiderio cantare di nuovo al Teatro Migjeni, magari con i vecchi compagni del liceo musicale Prenke Jakova”
di Eliza Çoba
Quella del 26 novembre è stata una bella commemorazione del 105° anniversario dell’Indimendenza. In una chiesa importante per la comunità catolica albanese in Italia, come quella di San Giovanni della Malva al centro di Roma, con la musica popolare e tradizionale albanese, iterpretata dal soprano Ana Lushi, il mezzosoprano Irida Dragoti e il tenore Refat Lleshi, accompagnati al pianoforte dal maestro Oliver Gruda.
Una serata trionfante per i nostri artisti, applauditi dal pubblico, poiché hanno saputo portare in scena, con spiccata eleganza e grande professionalità, l’animo del popolo albanese.
Dopo il concerto ho avuto la possibilità di intervistare una delle protagoniste della serata, il soprano Ana Lushi, nata a Scutari dove era molto conosciuta e apprezzata pur avendo lasciato la città da giovanissima per trasferirsi 25 anni fa a Roma.
Carissima Ana, come è stato il primo impatto con una metropoli come Roma?
Costellato da molte difficoltà, direi. Venivo da una nazione molto diversa rispetto ai paesi occidentali. L’Albania dopo la morte di Enver Hoxha e la caduta del muro di Berlino si stava aprendo al mondo, ma nella nostra generazione erano rimasti gli strascichi delle vecchie ideologie. Facevo parte di un gruppo di studenti scelti per formarsi culturalmente nelle Università Italiane. Ma, nonostante il privilegio di essere sostenuti e seguiti economicamente dai Frati Gesuiti, il vuoto lasciato dall’abbandono dei luoghi dove si è cresciuti, dagli amici, dai familiari è stato un addio straziante. Ricordo quel giorno l’auto che si allontanava dalla mia città, dal Teatro “Migjeni” , dove ho mosso i miei primi passi nel mondo del canto, dal bellissimo lago, dal fiume dove in estate andavamo a fare il bagno, mentre il castello spariva dal mio sguardo e non sentivo più il suono delle voci amiche. Fu un addio dalle abitudini più care e l’avvio verso un nuovo mondo.
Come sei riuscita a colmare il vuoto e quali sono stati i primi punti di riferimento per quanto riguarda la la tua professione?
Dopo l’arrivo a Roma, alloggiavo in un collegio di suore Spagnole vicino a Villa Torlonia. Le ragazze che frequentavano il collegio, studentesse universitarie come me, erano molto disponibili nei miei confronti e mi aiutavano a colmare le mie carenze linguistiche iniziali. Ho intrapreso, con alcune di loro, un rapporto di sincera amicizia che mi ha aiutato a superare i momenti di nostalgia e di distacco dalla terra natia. Una di queste ragazze, studiava, come me, canto lirico. È stata lei a presentarmi il mio primo maestro in Italia, Renato Guelfi. In seguito ho studiato con altri bravissimi artisti come il grande baritono Renato Bruson e Antonio Puccio. Ho debuttato al teatro Argentina di Roma e al teatro Giglio di Lucca con l’opera di Mozart “Il Ratto dal Serraglio” nel ruolo di Konstanze. E successivamente La Traviata, Madama Butterfly e tanti altri ruoli.
Parlami di te come artista, alla ricerca di nuove affermazioni in un mondo così difficile come quello della musica lirica. Qual è la tua fonte di ispirazione che ti spinge a continuare a sognare mete artistiche sempre maggiori? Quali sono anche le difficoltà quotidiane che una madre deve affrontare e saper conciliare con le esigenze artistiche.
Nel panorama musicale dell’opera lirica in Italia, purtroppo, pur essendoci molti artisti emergenti, si continua ad ascoltare e sentire sempre gli stessi nomi. Effettivamente, troppo raramente si dà spazio alla qualità, ma i grandi Enti Lirici scritturano le voci su indicazione di poche grandi agenzie. La passione per il canto mi spinge a studiare nuovi ruoli, nella speranza che qualcosa cambi nel complesso mondo della lirica. Nonostante una parte del mio tempo è dedicato agli impegni familiari, il canto resta la mia priorità di vita.
Attualmente ho avuto modo di seguirti molto spesso e sono stata colpita dalla tua bravura. Hai potuto duettare con tenori di alto livello, con pianisti affermati, sia connazionali che italiani. Come vi siete incontrati?
Si. Ho avuto ultimamente la possibilità di esibirmi con artisti di alto spessore musicale. Ci siamo incontrati quasi per caso e l’affiatamento è stato immediato. D’altronde quando si parla lo stesso linguaggio, intento quello musicale, è più facile capirsi.
La tua bellissima famiglia ti segue dappertutto. Vorresti che le tue bimbe calcassero le tue orme, o hai altri sogni per loro?
I figli dovrebbero seguire le loro inclinazioni. Certo che le mie due figlie sono cresciute con l’opera lirica. Ricordando alcuni episodi simpatici, Elena, la figlia maggiore, all’età di un anno e mezzo cantava un terzetto tratto dall’opera “Don Giovanni” di Mozart, a tre anni cantava il concertato del Barbiere di Siviglia e 4 anni l’ultimo atto della Madama Butterfly. Ora studia Pianoforte. Spero che possano proseguire con la musica colta che arricchisce l’animo umano. ”La musica è la lingua dello spirito. La sua segreta corrente vibra tra il cuore di colui che canta e l’anima di colui che ascolta”, per dirla con le parole del poeta e filosofo Kahlil Gibran.
Ci sono dei progetti, magari anche oltre al canto, che vorrebbe un domani affrontare e realizzare ?
Sono piena di progetti e continuo a preparare opere liriche. Inoltre sto preparando la tesi in “Storia della musica” alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’università “La Sapienza”.
Vorresti tornare nella tua Scutari e cantare lì come quando avevi 20 anni?
Molto spesso mi capita di sognare Scutari, l’infanzia felice e spensierata di quei momenti giovanili. Rimane un mio grande desiderio cantare di nuovo al Teatro Migjeni, magari con i vecchi compagni del liceo musicale Prenke Jakova.
Auguro che i tuoi sogni si possano realizzare e che tu possa essere protagonista di grandi concerti.