Di Darina Zeqiri
La legge in Italia è chiara, chi nasce in Italia da genitori stranieri non ha diritto alla cittadinanza italiana per nascita, dovrà vivere qui (e dimostrare di aver vissuto qui) i primi 18 anni della sua vita, e dopo potrà, se vorrà, richiedere la cittadinanza entrò il compimento del diciannovesimo anno. Chi invece è entrato in Italia per ragioni di studio od anche in cerca di una vita migliore dovrà dimostrare di essere stato residente in Italia per almeno 10 anni consecutivi, dovrà dimostrare di avere i requisiti economici per mantenere sè stesso e la famiglia, dovrà sostenere ( se non ha mai seguito un ciclo scolastico in Italia) un esame di lingua, e tutti dovranno versare la modica cifra di 200 euro.
Perfetto! Certificati di residenza recuperati, requisiti economici dimostrati, lingua italiana, beh quella si, ho frequentato l’università qui, quindi è scontato che io la conosca, il versamento di 200 euro effettuato, non rimane che aspettare. Ero pronta ad attendere parecchi anni; altri nella mia situazione attendono da oltre 4 ma alla fin fine sapevo che cittadinanza o meno nessuno mi poteva mandare via dall’Italia, ho dato a questo paese due meravigliosi bimbi italiani e brava persona o meno che io fossi ogni italiano ha diritto per legge ad avere vicino a sé i suoi parenti più prossimi. In fondo, però, in quell’angolo dell’animo nascosto all’orgoglio, non vedevo l’ora. Caspita, sono maggiorenne da più di 15 anni e non ho mai potuto dire la mia, nessuno mi ha mai interpellato riguardo al mio pensiero politico, l’idea di Stato, nessuno ha voluto il mio impegno come cittadina, non ha voluto responsabilizzarmi e darmi in mano la possibilità di scegliere da chi farmi rappresentare. Quindici anni da maggiorenne passati in attesa come una adolescente attende di sapere il risultato del suo esame per la patente. Sempre un passo dietro agli altri, sempre a subire le scelte degli altri, prendere ciò che ti danno e zittire davanti ai rimproveri e sconsiderazioni che piovevano e continuano a diluviare da alcuni italiani per nascita, padri padroni, che considerano l’Italia loro. Finalmente però, quella busta marrone gialligno timbrata Prefettura di Parma è giunta nella mia casetta delle lettere. Un emozione unica! Ero persino incredula dei tempi rispettati in questa malata burocrazia dello stivale, finalmente ero una cittadina italiana. Non mancava altro che GIURARE! Il 25 maggio prossimo posso votare, alle europee il mio voto vale, viene richiesto, è un dovere ed un diritto che nessuno mi potrà mai più negare.
Sbrigate le ultime pratiche corro nel comune di residenza ( Sorbolo) a chiedere se era possibile prestare giuramento al tricolore ed alla Costituzione in tempo per esercitare questo mio nuovo ruolo. Ricordate gli adolescenti alle prese con la patente con la macchina già pronta in garage da viaggiare? Ecco, esattamente cosi, un’emozione travolgente, indescrivibile, sai di volerlo, sai di averne bisogno, sai di vivere per essere qualcuno che decide autonomamente e sai che altri dovranno darti la possibilità. Vivi quel “test” tra il crederci e non illudersi, ma non puoi consolarti dicendoti che andrà meglio la prossima volta se non lo passi, perché intanto altri sono andati avanti, altri fanno ciò che dovresti fare tu, che vuoi fare ed anche se dopo sarai a pari intanto hai perso qualche treno. Il giorno del giuramento stabilito, la sindaca era libera giovedì 15 alle 16 e 30. Era tutto perfetto, riuscivo ad andare al lavoro ( non esistono giorni di permesso per quando si riceve la cittadinanza), potevo accompagnare il mio piccolo di 5 anni all’asilo ed andare a prenderlo giusto in tempo, il marito aveva chiesto il giorno libero, mio padre era vicino a me con il cucciolo di 9 mesi, mia sorella, mio fratello, mia nipote pure, sarebbero stati dei nostri anche i miei suoceri, un amico di famiglia, tutto pronto. Certo, prima ero stata dal parrucchiere, indossavo uno dei miei abiti più belli ed idonei alla circostanza, avevo limato e lucidato le unghie come da estetista, portavo la mia bigiotteria più preziosa, le scarpe con il tacco per essere più elegante ed apparire leggera nonostante la stanchezza di una notte insonne per l’emozione, una giornata impegnativa al lavoro, il caldo di questa primavera pazza. Ero impeccabile, lo erano anche i miei accompagnatori. La situazione, la circostanza dovrebbe prevederlo, dovrebbe imporlo, dovrebbe vietare per legge ogni minima svista. Lo Stato è il cittadino, il cittadino è lo Stato. Ogni piccolo rituale che annoia alcuni nel conferimento di medaglie ed altro in realtà ha il suo peso, la sua importanza, persino le scarpe lucidate a pennello degli uscieri ha il proprio valore e rappresenta lo Stato, il rispetto deve essere d’obbligo, deve essere insegnato sin da quando si è in fasce.
Vengo a sapere che mi sarebbe stata conferita la cittadinanza nell’ufficio della sindaca. Davanti ad un tavolo quadrato per quattro persone, a pochi centimetri dalla scrivania della sindaca, in una stanza si o no di 15 metri quadri, con lo stupore della stessa sindaca entriamo in 7 adulti, 4 bambini di cui uno con il passeggino. Un totale di 13 persone appiccicate chi al muro e chi alla porta, con i bambini seduti intorno al tavolo. Piccoli cuccioli, beata innocenza. Il funzionario del comune appoggia sul tavolo la “cartella” dedicata ai conferimenti della cittadinanza e/o di medaglie suppongo, che deteneva la fascia tricolore ed il comunicato dalla prefettura. Forse qualcuno prima poteva spolverarla … La sindaca si mette la fascia, due chiacchiere con i piccoli ed in men che non si dica mi trovo in piedi nell’angolo tra il tavolo quadrato e la finestra dell’ufficio ad ascoltare il pronunciarsi del conferimento della mia cittadinanza italiana. Mi viene presentato un foglio con su scritto il giuramento: “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato”, leggo in silenzio, respiro profondamente, mando giù il nodo alla gola e GIURO! Quattro firme la sindaca, quattro io che sottoscrivo e “Benvenuta in Italia”
Quanto, un quarto d’ora in tutto? Beh, si, considerando le chiacchiere con i piccoli e l’accortezza della sindaca di ricordarmi, adesso che sono italiana devo pagare le multe, si, un quarto d’ora piena ci è voluto. Sono italiana. Io ne sono onorata, ne sono felice, ne sono fiera. Ho amato questo Paese da subito, sono attiva nella sua vita politica da sempre anche se non potevo votare, ho sempre pagato le tasse, sempre. Ho amato gli italiani, ho amato la loro cultura e storia da sempre. Non mi sono trovata qui perché scappavo dalla miseria ma ho fatto un concorso all’università e sono stata ammessa. Questo Paese ti entra nel sangue, ti contamina di profumi, colori, vita ogni cellula del corpo, questo Stivale ti diventa pelle, non si può negare il suo fascino e la sua bellezza. Detto questo, amarlo cosi tanto, lottare per ciò in cui credi da sempre per migliorare questo Paese, quei quindici minuti sono stati sofferti?). Tra la gioia immensa e la delusione. Se ne fa un bel parlare sull’essere italiani, sul rispettare le leggi, amare la Costituzione e poi, una cittadinanza che richiede un viaggio lungo minimo dieci anni, con requisiti restrittivi da presentare viene conferita come se fosse un appuntamento di routine, una fascia al collo, leggiamo due righe davanti ad un tavolo per quattro con 13 persone intorno ammassate, dietro alle spalle la fotografia di Napolitano e la bandiera italiana ed europea, anche loro bisognose di respirare dalla polvere, quattro firme a testa e da domani hai pieni diritti di cittadinanza. Non è colpa della sindaca, ha fatto ciò per cui è stata chiamata a fare. Non è neanche colpa del funzionario, persona gentilissima, che quando si è accorto che sul foglio che mi è stato consegnato all’ultimo come ricordo da incorniciare la mia provenienza era Romania invece che Albania (ma i romeni non erano in UE?), si è scusato immediatamente e si è preso l’impegno di farmelo avere aggiustato appena possibile. No, non è colpa neanche di tutti i miei amici italiani che non sentivano cosi importante questo passo per me, che del mio entusiasmo di giurare alla bandiera ed alla Costituzione non ne capivano l’importanza, non è colpa di nessuno, chi non sa non può essere colpevolizzato. Qui manca l’insegnamento alla patria, l’educazione al rispetto delle istituzioni e delle cerimonie. Qui manca sentirsi italiani nel sangue, manca l’amore per questo Paese, manca il dare valore a ciò che ne ha veramente. Mi sarei aspettata una cerimonia formale, con la bandiera distesa sul tavolo, in centro la Costituzione che faceva da legame tra me e la sindaca. La foto di Napolitano alle spalle, tutti in piedi in posizione retta ed in silenzio da lasciare spazio persino all’aria di fare rumore. Mi chiedo se esiste, se è prevista per legge una formula, un modello base di cerimonia, se anche per legge, dopo quel lunghissimo percorso in cui devi dimostrare di amare e rispettare questo Paese, di averne fatto parte basta leggere la formula in piedi, nell’ufficio del sindaco, senza troppe pretese istituzionali se non quattro firme?
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