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Donne albanesi in Italia, il percorso immigratorio come via d’emancipazione

Si è potuto riflettere sul ruolo delle donne nel futuro dell’Albania, con uno sguardo particolare sulla diaspora in Italia, venerdì scorso a Roma, nel convegno Donne d’Albania. Tra migrazione, tradizione e modernità” organizzato dalla rivista Confronti.

Dal convegno 'Donne d’Albania. Tra migrazione, tradizione e modernità' - Foto Esmeralda Tyli Oltre agli interventi di tanti esperti e giornalisti, il convegno ha raccolto anche le testimonianze di alcune donne impegnate in prima persona nella costituzione di attività imprenditoriali e associazioni nel settore del microcredito, dell’emancipazione femminile e dell’assistenza sociale.

Nelle diverse sessioni del convegno che si sono susseguite nel corso della giornata, ha preso la parola anche Anila Husha, membro del Comitato scientifico dell’associazione culturale italo-albanese Occhio Blu-Anna Cenerini Bova, che ha lavorato per 10 anni come esperta in immigrazione presso la DG immigrazione del Ministero del Lavoro italiano e attualmente impiegata al Servizio Centrale dello Sprar.

Col suo intervento ha dato un quadro dettagliato  delle donne albanesi in Italia da vari punti di vista: famiglia, società, lavoro.

Qui di seguito, una sintesi del suo discorso:

Percorso immigratorio come via d’emancipazione
Di Anila Husha

Gli studi sulle discriminazioni di cui sono vittime i migranti, soltanto raramente hanno tenuto conto della differenza di sesso. Di fatto, invece, assai spesso le donne immigrate subiscono una doppia discriminazione sia come donne sia come migranti.

Le donne migranti fanno scelte indipendenti, prendono iniziative per le proprie famiglie o diventano spesso la principale fonte di sostentamento per la famiglia e con loro risparmi e rimesse  mantengono intere famiglie nel paese di origine. Un approccio di genere alle politiche di immigrazione introdurrebbe un cambiamento nella visione attuale delle donne immigrate come semplici mogli e figlie di immigrati uomini, al fine di comprendere e capire le esperienze uniche delle donne stesse.

E’ importante sottolineare la funzione esercitata dalle donne immigrate di mediazione tra la famiglia e la società di accoglienza. Se gli uomini sono spesso il tramite con la realtà aziendale, il compito delle donne non si esaurisce all’interno della famiglia o del posto di lavoro, le donne fungono da tramite con la società con la quale, a partire dalla scuola e dagli uffici pubblici, intrattengono più spesso i contatti.

Nella comunità albanese prevale un equilibrio tra i sessi  a differenza degli altri paesi dell’Europa centro orientale dove prevale la presenza femminile (57.8% degli immigrati). La presenza dell’intero nucleo famigliare nell’immigrazione albanese è uno dei motivi principali per cui questa comunità risulta una delle più integrate in Italia. 

Invece il confronto tra i generi nella distribuzione per classe di età, evidenzia come la componente femminile della comunità albanese sia lievemente più giovane di quella maschile.

Il 50,6% delle donne di cittadinanza albanese ha un’età inferiore ai 29 anni, un valore superiore di oltre tre punti percentuali a quello rilevato tra gli uomini.

Complessivamente quasi la metà dei cittadini di origine albanese ha meno di 30 anni pari al 48,9% del totale.  E’ la comunità straniera più giovane in Italia sia rispetto a ad altri paesi dell’Europa Centro Orientale, sia rispetto al totale dei non comunitari.    

Per i cittadini albanesi di più recente ingresso nel Paese, i motivi familiari rappresentano la principale motivazione di soggiorno in Italia, interessando più della metà dei titoli soggetti a rinnovo dei migranti appartenenti alla comunità (52,5%). I permessi per motivi di lavoro ammontano invece a 62.388 pari al 41,6%.

Dal convegno 'Donne d’Albania. Tra migrazione, tradizione e modernità' - Foto Esmeralda TyliTendenze in corso:

Se nel corso dell’ultimo anno la presenza complessiva dei cittadini non comunitari risulta in aumento nel caso della comunità albanese, dopo anni di crescita ininterrotta delle presenze, si assiste ad un’inversione di tendenza: il numero di cittadini albanesi regolarmente soggiornanti scende da 502.546 al 1° gennaio 2014, a 498.419 al 1° gennaio 2015, con una riduzione di 4.127 unità (-0,8%) e al primo gennaio 2016, secondo gli ultimi  dati pubblicati dal Dossier Statistico Immigrazione risultano 467.687 mila  con una riduzione di 30.732 unità (- 4,6%). Comunque la  comunità albanese quest’anno è la prima più grande tra i cittadini non comunitari superando per la prima volta la comunità marocchina.

Tale contrazione delle presenze interessa molte delle comunità straniere di più antico insediamento nel Paese ed è riconducibile ad una combinazione di più fattori.

In primo luogo, risulta in calo il numero di nuovi ingressi in Italia di cittadini. In particolare si registra un calo rilevante del numero di permessi rilasciati per motivi di lavoro: -33% rispetto all’anno precedente. Il principale motivo dei nuovi ingressi nel Paese rimane il ricongiungimento familiare (61% del totale).

Aumenta il numero di cittadini albanesi che hanno acquisito la cittadinanza , mentre diminuisce l’acquisizione della cittadinanza per matrimonio misto (donne albanesi con uomini italiani).

Risulta inoltre in crescita il numero dei cittadini albanesi che lascia l’Italia la propria residenza dall’Italia ad un altro  e trasferiti sia in patria o in altri paesi.

Minori e seconde generazioni

Benché complessivamente le presenze dei cittadini albanesi siano diminuite nel corso dell’ultimo anno, all’interno della comunità i minori hanno fatto registrare un aumento di 1.825 unità, pari ad un incremento dell’1,3% rispetto all’anno precedente. I minori di origine albanese al 1° gennaio 2015 risultano 138.132 e rappresentano il 14,7% del totale dei minori non comunitari. L’incidenza dei minori sul complesso degli appartenenti alla comunità albanese è pari al 27,7%, un valore superiore rispetto alla media non comunitaria. 

Matrimoni misti

Dal convegno 'Donne d’Albania. Tra migrazione, tradizione e modernità' - Foto Esmeralda TyliUno dei segnali più evidenti delle trasformazioni in atto nella società in cui viviamo, sotto il profilo sociale e antropologico, è l’incremento progressivo del numero di unioni miste (formate da un coniuge italiano e un coniuge straniero). La famiglia, tra gli elementi fondanti del nostro assetto societario si fa protagonista del cambiamento, incorporando al proprio interno la compresenza delle diverse culture che trova nel mondo esterno.

Tra il 1996 ed il 2013 il numero di matrimoni in Italia è calato complessivamente del 30%, 

Nel corso del medesimo periodo a calare siano state le unioni di coppie formate da sposi entrambi italiani (-37%), mentre sono aumentati significativamente sia i matrimoni di coppie miste che i matrimoni di sposi entrambi stranieri. In particolare, le unioni di coppie miste sono più che raddoppiate.

Facendo riferimento alla comunità albanese, su 1.354 matrimoni celebrati nel 2013   in cui almeno un coniuge sia di nazionalità albanese, più della metà riguarda un marito italiano ed una moglie albanese (53,6%), poco più di un quarto (26,4%) è relativo ad un cittadino albanese che sposa una donna italiana, mentre un quinto coinvolge coniugi entrambi albanesi

IL LAVORO

La distribuzione per genere degli occupati (grafico 7) mostra come i lavoratori albanesi abbiano una polarizzazione di genere opposta a quella registrata tra i migranti provenienti dal resto dell’Europa centro orientale e dall’Europa non comunitaria nel suo complesso. E’ infatti di genere maschile il 67% degli occupati albanesi a fronte del 36% dei lavoratori provenienti dal resto dell’Europa centro orientale e del 47% degli occupati originari dell’Europa non comunitaria nel suo complesso. Invece è solo di 33% il tasso di occupazione femminile.

L’incidenza femminile risulta tuttavia in crescita rispetto agli anni precedenti. 

Crisi economica

Negli ultimi anni la crisi economica ha fatto emergere in modo evidente il fenomeno delle donne immigrate che, da “casalinghe” sono diventate gioco-forza soggetti in cerca di occupazione. Allo stesso tempo, nei nuclei familiari dove entrambi lavoravano, in questo periodo il lavoro delle donne è quello che sta reggendo meglio l’impatto della crisi.

Il lavoro delle donne sta permettendo, in caso di perdita del lavoro del marito, di non interrompere il progetto migratorio e sta allo stesso tempo salvaguardando l’unità familiare, cambiando gli equilibri in famiglia.

Analizzando il contesto occupazionale in un’ottica di genere emergono delle criticità: è la condizione delle donne non comunitarie a rappresentare uno degli aspetti più problematici della dimensione socio-lavorativa dei cittadini stranieri nel nostro Paese. Se per i cittadini non comunitari complessivamente considerati il tasso di disoccupazione femminile è pari al 18,7% (a fronte del 16,5% maschile), per quella albanese è di 31,7%.

Ancor più complesso e pervasivo è il fenomeno dell’inattività. Il tasso di inattività, pari al 43,7% per le donne non comunitarie complessivamente considerate invece per le donne albanesi è 52,1%.

L’inattività delle donne è legata soprattutto alla difficoltà di conciliare il lavoro con le responsabilità familiari, rese gravose, ad esempio, dalle presenza di figli minori che per la comunità albanese è abbastanza alta. Se per le donne italiane le possibilità di conciliazione sono più ampie anche grazie, laddove presenti, a reti parentali o all’acquisto di lavoro domestico, molte donne immigrate a seguito della maternità sono costrette a rimanere al di fuori del mercato del lavoro non potendo contare su servizi pubblici spesso scarsi o su quelli privati troppo costosi, oppure sul sostegno dei familiari, generalmente assenti perché rimasti nel Paese di origine.

Un’altro motivo ancora può essere relativo anche una scelta legata alla tradizione, per poter crescere i figli a casa almeno fino ai 3 anni e per poterli seguire meglio a scuola. Non dimentichiamo che le donne albanesi in Italia, venendo da un paese meritocratico dove la scuola era uno dei pilastri principali della società hanno dedicato e dedicano tuttora lo stesso impegno alla formazione dei propri figli, sacrificando spesso sé stesse. 

Dal convegno 'Donne d’Albania. Tra migrazione, tradizione e modernità' - Foto Esmeralda TyliIl lavoro di cura

In Italia, così come avviene per altri paesi mediterranei, il lavoro domestico e di cura è una collocazione dalla quale per le donne è difficile uscire. Il destino di lavoratrici di cura o collaboratrici domestiche sembra condannare la stragrande maggioranza delle donne immigrate, anche quelle presenti da molto tempo e con un livello di istruzione medio alto.

In Italia l’assenza di un sistema di welfare di qualità e la mancata redistribuzione delle responsabilità del lavoro domestico e di cura all’interno della coppia, ha portato con se che la maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro abbia causato un aumento della domanda nel settore domestico, che ha costituito un fattore di attrazione per le donne immigrate, che si sono trovate a inserirsi e spesso e restare bloccate in un settore lavorativo già in sé poco qualificato e scarsamente remunerato, oltre che socialmente poco riconosciuto.Da uno studio svolto dall’Università degli studi La sapienza/Facoltà di scienze politiche e sociologia risulta che nella maggior parte dei casi, a lasciare il proprio paese, è la fascia più istruita della popolazione. Nello specifico, il flusso di lavoratrici proveniente dall’Europa dell’est appare caratterizzato da una significativa presenza femminile, tendenzialmente con un alto livello d’istruzione (la maggior parte possiede un elevato titolo di studio: laurea e diploma superiore insieme rappresentano il 53%, di cui il 10% sono le laureate) che in Italia non incontra, però, alcun riconoscimento; questo comporta una generale non corrispondenza tra il titolo di studio posseduto e l’attività lavorativa svolta nel paese d’approdo.

Si delinea pertanto una situazione di sottoutilizzo del capitale umano posseduto dalla popolazione immigrata, che frena la possibilità di una circolazione dei saperi a livello globale.

VIOLENZA DOMESTICA

Le donne migranti e rifugiate sono soggette agli stessi tipi di violenza delle le donne non migranti. Tuttavia, la specificità delle loro posizioni, come i migranti può in alcuni casi aumentare la loro vulnerabilità a certe forme di violenza, e può soprattutto limitare le forme di tutela e risarcimento a cui hanno accesso.

Inoltre, le donne migranti e rifugiate possono essere più vulnerabili rispetto agli uomini migranti e rifugiati a causa delle disuguaglianze di genere all’interno del percorso migratorio,dai loro paesi di origine, a quelli di transito e a quelli di accoglienza. Un mercato del lavoro e delle politiche per l’occupazione che limitano le donne nel settore dei servizi domestici possono renderli vulnerabili agli abusi sul posto di lavoro.

Nei casi, invece, di violenza coniugale, una donna può essere riluttante a denunciare il suo compagno violento nei casi in cui il suo permesso di soggiorno sia legato a quello del marito. In altri casi, la violenza coniugale non viene trattata seriamente dalle autorità nazionali, e viene spesso attribuita a differenze “culturali”.

Una delle caratteristiche delle donne albanese è l’altissimo numero  dei permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare. Non abbiamo dati e studi riguardo le separazioni delle copie albanesi, però mi chiedo cosa succederebbe a queste donne se chiedono il divorzio dai propri mariti? Non avendo un lavoro, almeno non in regola, perché sappiamo bene che la maggior parte di loro lavorano in nero e malpagate come collaboratrici domestiche, al momento del divorzio rimarrebbero senza permesso di soggiorno e senza mezzi di sostenimento. 

Noi donne albanesi veniamo da una società più maschilista:  Donne che prendono il cognome del marito e vanno a vivere alla sua casa insieme con i suoceri ed i cognati; famiglie allargate dove comandano i suoceri; figli maschi preferiti perché sono loro che mantengono i genitori e vivono con loro anche dopo il matrimonio; se non ti sposi entro l’età di 25 anni sei zitella e che se non partorisci entro due anni dal matrimonio hai problemi gravi di salute. Ma ormai viviamo in Italia da tantissimi anni ed i problemi che affrontiamo quotidianamente sono gli stessi delle donne italiane. Abbiamo il privilegio di vivere in un paese dove la lotta delle donne italiane per l’emancipazione, le loro battaglie e le loro vittorie ci hanno spianato la strada.

A me personalmente ha fatto molto crescere il lavoro nelle istituzioni italiane ma soprattutto la partecipazione in diverse associazioni sia femminili che non, sia italiane che miste. Una delle esperienze più significative è la partecipazione all’Associazione culturale italo-albanese “Occhio Blu – Anna Cenerini Bova” per quasi 10 anni in qualità di vicepresidente ed attualmente come membro del comitato scientifico. L’associazione è stata costituita nell’ottobre del 2000 da una donna meravigliosa, Anna Cenerini Bova, al fine di promuovere la diffusione in Italia della bimillenaria cultura albanese e di una corretta immagine del popolo albanese che lei stessa aveva conosciuto vivendo per 5 anni in Albania. Ora, la sua missione viene portato egregiamente avanti dall’attuale presidente, ambasciatore Mario Bova.

Tra le tante attività ed eventi importanti che abbiamo organizzato al mese di Novembre 2003 abbiamo organizzato il convegno intitolato “Donne Mediterranee” c/o la Casa Internazionale delle Donne a Roma. Questo convegno ha cercato di confrontare le forme associazionistiche italiane con quelle albanesi, i dati ufficiali dai due paesi e fornire un’indagine sociologica sull’immigrazione femminile albanese in Italia con invitate di spicco come Milva Ekonomi, allora direttrice dell’INSTAT albanese, oggi Ministra dell’Economia in Albania, Linda Sabatini ex direttrice dell’ISTAT in Italia e altri esperti come il sociologo albanese Rando Devole che ha collaborato costantemente e con molta professionalità con la nostra associazione.

Il 5 Maggio 2016 abbiamo organizzato un incontro sul tema “Donne Albanesi verso l’Europa” con la partecipazione della scrittrice albanese Diana Ciuli e la scrittrice  della Casa Internazionale delle donne, Lia Migale.

Invece il 21 ottobre scorso abbiamo presentato il libro “La mia vita universitaria”, memorie della scrittrice Musine Kokalari che ha studiato all’Università La Sapienza nella Roma fascista (1937 – 1941). 

La responsabilità delle istituzioni:

Serve un lavoro preventivo, un cambiamento culturale che deve cominciare dalle scuole e dai consultori famigliari. I consultori offrono corsi preparatori per il parto, ma non offrono corsi di educazione per diventare futuri genitori. Ma soprattutto la scuola deve offrire ai giovani strumenti culturali per  governare con serenità la costruzione dell’identità del genere e deve affrontare due grandi temi: l’educazione civica e l’educazione sessuale. 

In conclusione  vorrei sottolineare che l’esperienza migratoria, porta con se momenti di cambiamento, rottura e riequilibro, e costringe le donne a ridefinire i sistemi culturali di riferimento oltre che la loro stessa identità femminile.

L’immigrazione femminile si rivela, pertanto, caratterizzata da una complessità, versatilità e molteplicità di situazioni e strategie di inserimento che richiedono una maggiore sensibilizzazione e sostegno nei confronti delle sue protagoniste nonché analisi e riflessioni mirate anche riguardo agli effetti sull’intera società di accoglienza e sulle seconde generazioni.

Le donne immigrate sono già al centro delle pratiche di convivenza, dalle lavoratrici di cura, alla cura dei figli, alla capacità di costruire momenti di incontro nei quartieri e nelle loro comunità attraverso le tante associazioni femminili. Noi donne immigrate e italiane dobbiamo collaborare, dobbiamo costruire un’alleanza nella diversità, attorno a obiettivi concreti e condivisi: la dignità del lavoro, un welfare inclusivo e di qualità, una scuola veramente interculturale, per una società migliore.

Nello stesso tempo  anche le donne albanesi immigrate e donne nel paese d’origine dobbiamo collaborare per affermarsi e rendersi visibili, per trasmettere i valori della cultura democratica che abbiamo acquisito in Italia,  per un profondo cambiamento culturale del paese.

 

“Senza patria”, libri më i ri i Irma Kurtit për lexuesit italianë

L’imprenditoria delle donne immigrate in Italia, il loro progresso è il progresso di tutti