Arriva in libreria “Non chiamatemi Straniero”, un viaggio tra gli italiani di domani, della giornalista della Repubblica Francesca Caferri
Chi è italiano per legge? Solo chi nasce da genitori italiani ovunque nel mondo. Non lo sono, però, quei bambini e ragazzi, ormai oltre un milione, che qui vivono, studiano e crescono con la cultura e le tradizioni italiane. Per raccontarci proprio questi ultimi, la «generazione Balotelli», i «nuovi italiani», i G2, arriva in libreria “Non chiamatemi straniero” (Mondadori) di Francesca Caferri.
Caferri va da Treviso a Napoli, per incontrare questi giovani che raccontano in prima persona l’esperienza quotidiana a cavallo fra due mondi: quello a cui appartengono stabilmente, ma che fatica a dare loro spazio, e quello di provenienza, lontano, diverso, a volte oppressivo, che spesso li rinnega. Ne scaturisce un ritratto abbastanza sorprendente e variegato. C’è la voglia di emergere, la tenacia e l’ottimismo, c’è il disincanto di chi in Italia continua a sentirsi un estraneo e che respinge qualsiasi prospettiva di integrazione, c’è il fiero senso di appartenenza all’Italia, e c’è chi, giustamente, sdegnosamente contesta qualsiasi «etichetta»: «Non ho mai migrato, sono nata in Italia, per cui mi sento italiana» afferma in una lettera diventata famosa la giovanissima Laamia, genitori marocchini.
Sono tanti quelli che ce l’hanno fatta. Come Albana Muco, 27 anni, di origine albanese, che quando faceva il liceo classico dopo lezione andava a fare le pulizie per aiutare i genitori e che da laureata ha fatto quattro concorsi e li ha vinti tutti, avendo solo l’imbarazzo della scelta. O come Said Chaibi, 23 anni, nato a Matera da immigrati marocchini e oggi consigliere comunale a Treviso, con il doppio delle preferenze rispetto a quelle del sindaco (leghista) uscente, Gentilini. O come Tarek Es Safi, di origine marocchina, appartenente a una famiglia che per colpa della crisi, ha lasciato l’Italia per la Francia. I suoi sono andati, lui è rimasto: si sente italiano, non vuole andarsene.
A dominare, però, è la delusione per una realtà che troppe volte ha sbattuto loro le porte in faccia, il senso di una identità sospesa, incerta, «in bilico», come il futuro di questi ragazzi, su cui gravano i ritardi e le incongruenze della legislazione. Oggi infatti in Italia – unico fra i grandi Stati europei – ha diritto alla cittadinanza chi nasce da italiani, ovunque venga al mondo, ma fino ai 18 anni ne sono esclusi migliaia di ragazzi che nascono, crescono, vivono e si formano sul territorio nazionale. Quel milione di bambini e adolescenti resta così in mezzo al guado: stranieri nel Paese dove sono cresciuti proprio come in quello da dove arrivano i loro genitori. Siamo di fronte a un bivio decisivo: possiamo continuare a ignorare le giuste rivendicazioni dei giovani «di seconda generazione» alimentando una rabbia che potrebbe assumere forme violente come nelle banlieues parigine, o valorizzare questi nuovi concittadini come una preziosa risorsa per il futuro di tutti.