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Albanese d’Italia

“Benvenuta!” Con questo augurio mi accolgono, un anno fa, ai diversi uffici del comune dove mi presento, decreto di cittadinanza alla mano, per il giuramento di fedeltà alla Carta costituente italiana.

Anche se principalmente mi fa sorridere l’augurio (ma come, vivo in questo paese da 17 anni, e solo adesso si ricordano di augurarmi il benvenuto!), capisco che l’augurio si riferisce ad altro. Che solo da questo momento, anzi dal giorno successivo, per l’esattezza, divento cittadina e non sono più straniera.

Almeno per lo stato, per la burocrazia, secondo alcuni documenti. Perché, sono ormai anni, che mi sento italiana. Anche se qualcuno, fra istituzioni e gente, non perde l’occasione di ricordarmi di essere straniera, diversa. E quando mi va bene, mi debbo accontentare della famosa “Ma non lo sembri affatto!”.

Vivo a Roma da quando di anni ne avevo 20 e oggi ne ho quasi il doppio. Roma è anche la mia città e l’Italia è anche il mio Paese. Gioisco per le belle cose che trovo, sento e vedo intorno a me in Italia, e mi rammarico per tante altre che non vanno come vorrei. Mi emoziono quando, girando per questo meraviglioso paese, vedo le bellezze che ci circondano; all’estero dico orgogliosa di venire dall’Italia e se capita, mi viene normale difenderla. Ma allo stesso tempo mi permetto di mettere in vista gli aspetti che non mi piacciono, come certe politiche – specialmente sull’immigrazione e l’integrazione di milioni di persone – che considero sbagliate, come la burocrazia lenta; oppure di dispiacermi quando vedo che un tassista romano cerca di truffarmi, oppure quando ‘La maggica’ non ce la fa a vincere il campionato. Con la speranza che tutto cambi per il meglio. Come farebbe qualsiasi altro italiano, perché io sono tale. E da molto prima di dicembre scorso, quando sono diventata ufficialmente cittadina di questo paese.

In questo mio sentirmi italiana, nella esigenza di poter partecipare di più alla vita di questo mio paese, oppure di potermi iscrivere all’albo professionale riservato solo ai cittadini, trovo le ragioni principali per cui ho presentato domanda circa quattro anni fa. Ma mentirei, se dicessi di non aver mai pensato anche ad altre ragioni – importanti al giorno d’oggi – come avere una volta per tutte un documento che non avesse termine ogni due anni lasciandoti per mesi e mesi in balia della burocrazia, oppure non avere bisogno di visto per girare il mondo. Ed ho aspettato per anni, molti mesi più di quei 24 previsti dalla legge, per avere finalmente in mano il decreto della concessione della mia cittadinanza.

Oggi sono contenta di avere anche la cittadinanza italiana, però non mi sento diversa da prima, né migliore né peggiore. Non credo di avere più doveri di prima, forse ne avevo qualcuno in più da straniera; sicuramente, ho più diritti di prima, come quello di votare, che ho esercitato subito nelle elezioni regionali di fine marzo.

Da anni scrivo per una testata che si chiama “Albanese d’Italia” che riprende il nome dal primo giornale albanese in Italia, fondato più di un secolo e mezzo fa da un arbëresh. E che rispecchia il fatto che gli albanesi di oggi – come quelli di 500 anni fa – saranno sempre albanesi, ma sempre di più anche italiani.

Keti Biçoku, novembre 2010

Tragjedia e Padernos – Përtej xhamit

Viktima e fundit në vendin e punës, Besniku