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Arjan Shehaj e le “Geometrie Poetiche” dell’Arte Albanese

“Geometrie poetiche”, sono tali le forme tratteggiate dalla penna di Arjan Shehaj, che trasmettono energia e purezza. Il giovane albanese che viene dall’Accademia delle Belle Arti di Brera in Milano, è a Ripa Teatina con una  mostra personale, aperta fino al 16 Maggio

Il giovane artista che si è appena specializzato all’Accademia di Brera a Milano rappresenta lo stato dell’essere – stato di grazia – che sta vivendo l’arte albanese. Pensavo questo leggendo i critici (Gaetano Centrone, Antonio d’Avossa, Daniele Capra, Alberto Mattia Martini) e soprattutto guardando le sue opere. Qui ci vedo il riflesso dell’arte albanese degli ultimi anni, come rappresentazione della libertà d’espressione artistica, del coraggio come un viaggiare nell’arte e verso l’arte ed il messaggio universale che riveste. L’irradiamento dell’arte albanese ha toccato quest’anno la Biennale “Stemperando” con tappa in Albania e la partecipazione di 18 artisti albanesi (della quale ho avuto il piacere di tradurre il catalogo), mentre non si contano i premi e le esposizioni dei nostri artisti.

In qualche opera vedo un nucleo compresso che, liberandosi in esplosione genera galassie, o un tunnel in fondo al quale si vede sempre più luce, o ancora la liberazione dal giogo di un “canone”, quello realista-socialista che soffoca l’indomita (illirica) anima albanese.

Come nei test psicologici di Rorschach, i miei occhi hanno visto questi messaggi proiettati nei lavori di Arjan mentre altri vi scorgono “geometrie poetiche”, “carezze dell’universo, della luce e della vita” (D’Avossa), una “narrazione metapittorica” (D. Capra), o “l’assoluto oltre il tempo e dello spazio sensoriale” (A. M. Martini).

L’emozione è negli occhi di chi guarda, e gli occhi sono lo specchio dell’anima, o per lo meno della mente, perché, come dice lo stesso Arjan, ‘la sua ricerca artistica va dalla classicità verso l’astrazione, perseguendo lo scopo di universalizzare l’opera, che si traduce non in una immagine o un oggetto, ma nella libertà e nell’invito a usare l’immaginazione’. Gli studi di Psicologia mi insegnano che ogni azione, creazione storica, letteraria, artistica va ricondotta alla psiche, all’anima. Ed il libro che ho in mano, in questi giorni, per un esame, “Verso un’ecologia della mente”, definisce l’arte come la ricerca della grazia, il più grande problema dell’uomo, la sintesi e la conciliazione delle diverse parti, contrastanti: la mente e il cuore, la coscienza e il subconscio. Se lo persegue è arte, e l’arte è interculturale, dice Bateson. A questo processo, individuale e collettivo (non siamo isole, ma prodotti di e interagenti con il tempo e il luogo), va il merito dello stato dell’arte albanese, i cui rappresentanti hanno reso possibile lavorare con mezzi e modi diversi, di passare oltre l’intimo personale o nazionale, per parlare a tutta l’umanità. Modo di far arte che dà allo spettatore il ruolo di costruire il significato dell’opera. Questa la chiave dell’opera e del successo di questi artisti: semplificazione simbolica quasi fino all’astrazione al fine di rendere fruibile il messaggio artistico da parte di tutti.
E l’opera di Arjan ha fatto proprio questo, e non casualmente.

Nato nel 1989 a Patos, di Fier, iniziò a disegnare a 8 anni, quando si trovava con la famiglia a Stoccarda, in Germania. Dopo il ritorno in Albania, nel 2000, il suo talento venne scoperto dall’insegnante Enkelejda Çapuri Selmani a scuola che consigliò alla famiglia di proseguire con Dorjan Ikonomi, un professore d’arte. Si trasferisce a Lodi per frequentare il Liceo artistico e poi a Milano per seguire l’Accademia di Belle Arti di Brera.

La vera ricerca nell’arte, e nelle sue radici, iniziò dal 2011, quando i dettagli delle figure iconiche man mano lasciarono sempre più il posto alla semplificazione in forma geometrica. Lì iniziò il percorso attraverso numerose mostre, collettive e personali, con dipinti e installazioni, in cui, per esempio, invitato dal critico D’Avossa, prese parte ad una mostra che, in occasione dell’EXPO, accostava l’Accademia di Milano a quella di Washington, proprio a Washington, nel 2013. In seguito venne selezionato come uno dei migliori nella pittura dalla sua Accademia per il “Premio Nazionale delle Arti” nell’Accademia Albertina, diretta da Nicola Maria Martino. Sua moglie, la gallerista Marianne Wild, si ricordò la sua opera quando, nel 2014, con l’Associazione Culturale “Marianne Wild Arte Contemporanea UnicA” gli propose di aprire una mostra in Abruzzo.

Un momento pieno di progetti e un esperienza di vita e d’arte attendeva l’artista: un soggiorno di vari mesi a Berlino. Il ritorno in Germania, dove aveva trascorso qualche anno d’infanzia “incosciente” rispetto all’arte, la condivisione dello studio e il lavorare fianco a fianco con l’amico e artista serbo Nebojsa Despotovic, l’arricchimento reciproco scaturito dai diversi punti di vista sull’arte, e la frequentazione della vita artistica berlinese, gli hanno dato nuova linfa, mostrando ancora più chiaramente che l’arte non conosce confini o pregiudizi.

Dopo la specializzazione era la volta della mostra, inaugurata il 25 aprile a Torre di Porta Gabella, una suggestiva location, curata da Marianne Wild e dalla sua Associazione, patrocinata dal Comune di Ripa Teatina, dalla Provincia di Chieti e dalla Regione Abruzzo.

Questa mostra è diventata uno spunto per evidenziare i legami economici e culturali esistenti tra i due paesi, e il sindaco Ignazio Rucci si è manifestato entusiasta di agire in direzione di un gemellaggio culturale e sportivo, nel ciclismo, nel pugilato (orgoglio di questa città: il famoso Rocky Marciano) e nell’arte. Marianne Wild si considera una paladina dell’arte contemporanea albanese, fonte per lei di “stupore e ammirazione, e mostra di conoscere l’Albania, che ha più volte visitato. Questa terra di grande storia, ma dalla limitata tradizione dell’Arte dà ai suoi giovani artisti, una visione pura e vergine, che si traduce in una grande libertà espressiva artistica. Per questo la loro opera è un grande potenziale per l’economia dell’Albania poiché investire in loro rappresenta un ottimo investimento”. Suo marito, il grande artista italiano, Nicola Maria Martino, ci offre delle preziose riflessioni. Per lui “l’artista è un acrobata che possiede equilibrio-squilibrio e supera il filo teso, con occhio e mano ferma. L’Arte ha bisogno di essere unica e insostituibile, non fa sconti né può essere scontata, non è una rincorsa di stili, epoche o etichette critiche, perciò la storia dell’Arte andrebbe scritta in ordine alfabetico, il tempo non esiste e il pittore non dipinge per ieri, né per domani, dipinge oggi. Ma oggi è sempre”.
Oltre alla mostra, anche la cena, con cucina locale, così la serata si trasformò in un conoscersi reciproco, più approfondito. Il paesaggio quanto indomito tanto dolce con colline, pianure, fiumi e montagne innevate in lontananza e ci ricordavano l’Albania, almeno come sarebbe potuta essere con i se … e con i ma …

L’attuale successo di Arjan sta prendendo corpo, e questo anche grazie alle forti radici, alla base sicura come si dice in Psicologia, che gli permettono di esplorare il mondo dell’arte contemporanea con fiducia e positività: la sua curiosità, mentre iniziava l’Accademia, era di conoscere l’arte del suo paese, e non accontentandosi di quello che ha trovato, si è dedicato a ricercare e ad intervistare artisti di rilievo come Adrian Paci, Anri Sala, Artan Shabani, Venera Kastrati, curatore e redattore Giancarlo Politi, il primo a fare una Biennale in Albania con il critico Edi Muka e il Ministro della Cultura di allora, Edi Rama. I primi risultati di questo lavoro hanno fatto parte della tesi di laurea, ma la ricerca continua, perché, oltre a due mostre satellite dell’EXPO Universale, che è stata inaugurata il 1° maggio a Milano, il progetto di Arjan Shehaj prevede anche un libro che parla, attraverso la bocca dei protagonisti, dell’arte contemporanea albanese, di cui anch’egli è emblematico.

Di Fioralba Duma

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