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Centri di Identificazione e Espulsione, carceri di innocenti


Riflessioni di una ex operatrice di assistenza in un CARA

La vita lì dentro perde i colori, le forme, perde i ritmi, perde la dignità. Lager, dei veri lager dell’era moderna. Lì dentro finiscono persone di tutte le provenienze. Nella maggior parte con l’unica colpa: essere clandestini. Poco importa se erano lavoratori sfruttati fino all’osso, malpagati e senza nessuna protezione e sicurezza. Poco importa se sono donne che in molti casi sfruttate dai malviventi, costrette a vendere il loro corpo. Poco importa che possono esserci anche dei minori. Poco importa che sono esseri umani!!! Sono clandestini e per questa “colpa” ,condannati a perdere la libertà, a perdere la dignità.

Scappano dalle miserie, scappano dalle guerre e i soprusi, scappano dalle violenze di ogni tipo attraversando mari in burrasca in carrette fatiscenti…per finire in un CIE o in un CARA.

Qualcuno ha il coraggio di chiamarli “bastardi” mentre li guarda e li parla, uccidendo l’anima, uccidendo le speranze. E non di rado, chi li definisce in questo modo, è proprio chi dentro in questi lager ci lavora e guadagna uno stipendio. Pretendiamo di esportare la democrazia nelle altre parti del mondo, pretendiamo di insegnare la civiltà mandando gli eserciti armati fino al collo..E che bel esempio di civiltà e di democrazia in avanguardia diamo a casa nostra, rinchiudendo le persone in dei lager. Sognavano la libertà, ma che se ne fanno del significato sublime di una parola mentre corpo, mente e l’anima sono rinchiusi dietro mura altissime e portoni pesanti di ferro che incutono solo terrore e rendono delle persone in veri detenuti, ma detenuti senza diritti e spessissime volte, senza colpe!

Dolore, lacrime, sì, signori,  lacrime!!! Persone che hanno visto la morte in faccia durante le traversate, sfuggendo ai richiami degli abissi del mare. Persone che hanno sfidato le paure e i pericoli. Sono gli stessi che cercano di nascondere gli occhi per non dimostrarsi deboli con le lacrime che velano i loro sguardi. Quelle lacrime non si possono descrivere quelle lacrime si rispettano! Io, ex operatrice di assistenza in un CARA nei pressi di Torino, conosco bene le loro realtà, i loro sguardi, le loro paure, le loro speranze. Conosco bene le mille difficoltà per difendere i più ovvi diritti delle persone che ci vivono e per contrastare chi dallo staff non si nega il diritto di offendere con dimostrazioni razziste ed espressioni fasciste. Ci si sente spesso impotenti davanti a certe realtà e comportamenti. Ci si sente impotenti e soli a l lottare contro l’ignoranza, contro quel razzismo sommerso e mascherato da sorrisi di circostanza, ma che sfoga tutto il suo veleno in semplici ma pesanti parole..insulti che uccidono l’anima di chi lì dentro si trova costretto a starci….e di chi ci lavora seguendo i principi umani. Lì dentro basta una sola parola, un insulto, per togliere la vita dagli sguardi già spenti di chi si trova costretto a viverci. Lì dentro basta solo un sorriso fatto col cuore e una semplice domanda, “Come stai?”, per riportare un pi di luce negli sguardi spenti e pieni di paure e insicurezze per il futuro. Quanta altra pazienza ci vuole per sopportare la claustrofobia dell’anima?

Esmeralda Tyli, ex operatrice di assistenza in un CARA del Settimo Torinese

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