Tenere insieme una comunità vuol dire dare a tutti i suoi membri una partecipazione all’interesse collettivo. Far diventare italiane le seconde generazioni, oltre che un atto di giustizia è un gesto di intelligente lungimiranza
Roma, 2 marzo 2013 – Di Grillo abbiamo scritto più volte, analizzando le sue ambiguità sui temi dell’immigrazione, chiedendo invano delle risposte, provocandolo rilanciando dei suoi vecchi consigli su come trattare “marocchini rompicoglioni”.
Ora che tutti corrono a blandire il nuovo padrone del vapore, noi continuiamo a permetterci di dissentire. Con buona pace dei suoi web-commissari del popolo prontamente attivatisi sui social network e che vogliamo rassicurare rispetto al fatto che questo editore non ha né conflitti di interesse (è un editore puro), né riceve finanziamenti pubblici, né accede ad altri contributi all’editoria stampata che, e questo forse farà felici alcuni grillini, sono riservati soltanto alle pubblicazioni che scrivono in italiano per gli italiani.
La nostra insistenza ad avere parole chiare dal M5S sulla cittadinanza per le seconde generazioni nonché sui diritti dei migranti sarà sempre destinata a scontrarsi con questa dichiarazione di Grillo: “La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza senso. O meglio, un senso lo ha. Distrarre gli italiani dai problemi reali per trasformarli in tifosi. Da una parte i buonisti della sinistra senza se e senza ma che lasciano agli italiani gli oneri dei loro deliri. Dall’altra i leghisti e i movimenti xenofobi che crescono nei consensi per paura della “liberalizzazione” delle nascite”.
E da questa considerazione vorrei ripartire.
La riforma della cittadinanza sulla base dello ius soli non divide più il Paese in due tifoserie. Secondo i risultati di un’indagine pubblicati dall’Istat la scorsa estate, il 72,1% degli italiani è favorevole al riconoscimento alla nascita della cittadinanza ai figli di immigrati nati nel nostro Paese. E quello stesso Giorgio Napolitano definito da Grillo “il mio Presidente” quando difende M5S, vuole forse distrarre dai veri problemi dei suoi cittadini quando definisce un’”autentica follia” negare la cittadinanza ai bambini nati in Italia?
Ma la parte che più ci preme confutare è la scarsa rilevanza che Grillo attribuisce al problema, al punto da derubricarlo in questione “senza senso” e comunque non un “problema reale” e da definire “deliranti” i suoi sostenitori.
E veniamo ai numeri: un nuovo nato su cinque è figlio di almeno un genitore straniero e la percentuale continua a crescere, i cittadini stranieri oggi sono l’8% della popolazione italiana (tra cinquant’anni secondo l’Istat quella percentuale potrebbe salire addirittura al 24%), il 10% dei lavoratori (con un tasso di occupazione del 60% contro il 56% registrato tra gli italiani), producono il 12% del Pil. Versano 6 miliardi di Irpef e soprattutto 8 miliardi di euro di contributi previdenziali, la loro età media è di 31 anni contro i 43 anni degli italiani, il che significa che sono distanti circa 35 anni dall’accesso alla pensione (e per quel tempo chissà cosa ne sarà stato dei loro contributi). Dobbiamo continuare?
È evidente che si tratta di un problema fondamentale per l’assetto del Paese. Tenere insieme una comunità vuol dire dare una partecipazione all’interesse collettivo a tutti i suoi membri.
Che sociètà è quella che tiene una fetta così importante dei suoi cittadini fuori da ogni coinvolgimento con le sorti della Nazione? Chi abita un condominio non darà nessuna attenzione o contributo alle parti comuni se sa di doversene andare prima o poi perché cacciato o perché estenuato dal non esser accettato dal resto dei condomini. E’ così che nascono le tensioni più pericolose che minacciano la coesione delle Nazioni moderne. O Grillo pensa che l’Italia resterà esclusa dalla multiculturalizzazione della società mondiale chiudendosi in un’autarchia di memoria fascista?
Dare la cittadinanza alle cosiddette seconde generazioni, oltre che un atto di giustizia è dunque anche un gesto di intelligente lungimiranza. Significa dire a questi cinque milioni di abitanti della nostra Italia che questa è anche casa loro e che i loro figli sono a tutti gli effetti ITALIANI. Significa anche chiedere loro uno sforzo in più per tirarci fuori da questa secca economica e democratica in cui i nostri (non i loro) padri ci hanno cacciato.
Non riconoscere la cittadinanza (insieme a più di 30 mila euro di debito pubblico) a chi è nato e cresciuto in Italia per i motivi esposti da Grillo è un deliberato insulto al futuro del Paese e ai cinque milioni di cittadini stranieri che lavorano o studiano in Italia. Questa dichiarata ostilità non sarà dimenticata dai loro figli quando inevitabilmente, presto o tardi, potranno votare.
Ma c’è ancora tempo per correggersi.
Gianluca Luciano
Editore di Stranieri in Italia