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“Cittadinanza!”, l’urlo dei figli d’Italia stanchi di chiedere il permesso

La manifestazione a Roma. “Non possiamo più aspettare, non possono più dirci che non è il momento”. E alla fine portano il loro passaporto gigante fino al Senato

Dalla manifestazione del 28 febbraio. Foto di Esmeralda TyliRoma, 1 marzo 2017 – Alla fine il passaporto gigante degli italiani senza cittadinanza, quello che dice che “chi nasce e cresce in Italia è italiano” è arrivato davvero fino al Senato.  

Dopo aver troneggiato per un mese, ogni martedì, in piazza del Pantheon,  si è mosso. Portato come un santo in processione da quanti non smettono di lottare perché quelle parole diventino legge, ieri sera ha sfilato sotto le finestre di Palazzo Madama. Nel corteo gli attivisti si mischiavano ai bambini, tutti gridavano: “Cittadinanza! Cittadinanza! Cittadinanza!” E nel caso la voce non fosse bastata, c’era lo striscione dei più piccoli: “Tutte e tutti cittadini, di un’Italia senza confini”

Si è concluso così, proprio dove voleva, il Carnevale della cittadinanza. Con vigili e poliziotti preoccupati per l’incursione festosa, ma imprevista e ahimè non autorizzata. E con il presidente della commissione diritti umani Luigi Manconi sceso in strada a incontrare  i manifestanti e a ringraziarli: “Quel poco, pochissimo che il Senato ha fatto finora per la riforma, è merito vostro”.

Per tutto il pomeriggio, su un camion-palco davanti al Pantheon, testimonianze e rivendicazioni si sono alternate a balli e canti, compresi quelli dei ragazzini della multietnica scuola Pisacane di Tor Pignattara. Hanno intonato in coro “Roma nun fa la stupida stasera…”, e i maliziosi hanno pensato che ce l’avessero anche con chi si ostina a considerarli stranieri, insieme ad altri 800 mila alunni figli di immigrati.

Dalla manifestazione del 28 febbraio. Foto di Esmeralda Tyli“Questo Paese faccia un passo avanti, verso il futuro” dice aprendo la manifestazione Filippo Miraglia, vicepresidente dell’Arci, a nome della Campagna l’Italia sono Anch’io, che ha promosso la mobilitazione insieme agli Italiani Senza Cittadinanza. “La riforma è urgente,  mentre non è urgente il  decreto Minniti. L’Italia ha bisogno di aumentare le garanzie a tutela dei diritti, non di diminuirle. E deve smetterla di allargare il fossato che la divide da ragazzi nati e cresciuti qui”.

“Quando a scuola ci dicono ‘siete tutti uguali’, ci dicono una bugia. Per la legge 91/1992 i figli di questa Italia non sono tutti uguali” si scalda Paula Baudet Vivanco, di Italiani Senza Cittadinanza. “Io sono cresciuta chiedendo il permesso di soggiorno al mio Paese, non deve accadere anche a questi bambini. Non possiamo più aspettare, non possono più dirci ‘non è il momento’. L’Italia è danneggiata da ingiustizie come questa, ai senatori basta un voto per cancellarla”. 

Ian Ssali, presidente della rete G2, ricorda i tempi lunghissimi di questa battaglia, iniziata quando anche lui era un italiano col permesso di soggiorno: “La mia data di ingresso era il giorno del mio compleanno e non era una cosa bella da festeggiare.  Ci battiamo dal 2005 per la riforma, è bello essere ancora uniti per una cosa giusta. Perché l’Italia merita persone che vogliono contribuire al suo progresso, siamo qui per questo”. 

Persone come Manel Chemkhi, Anolf, figlia di immigrati tunisini. “Non ho scelto di vivere in Italia, ma a 27 anni scelgo di essere cittadina italiana. Ho un passaporto verde, in aeroporto mi viene sempre voglia di tingerlo di rosso come quello italiano. Per favore, senatori, fate questa riforma, fatemi concentrare sullo studio. Sono biologa, vorrei vincere il Nobel da italiana” scherza. “Fatemi il test del dna, il mio sangue è italiano“

Quando la manifestazione finisce, il “passaportone” si avvia verso Palazzo Madama, insieme a tanti bambini. “La vita ci insegna che seguire la strada che prendono i bambini è la scelta migliore, dovremmo farlo anche oggi” suggerisce dal palco Elvira Ricotta Adamo di QuestaèRoma. Dovremmo però anche chiederci per quanto ancora renderemo la strada di quei bambini, figli e figlie d’Italia, così in salita. 

Elvio Pasca

 

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