Sulla nave naufragata all’isola del Giglio c’erano tanti marinai e lavoratori stranieri. Tra loro anche ventisette lavoratori romeni. Ecco cosa hanno raccontato alcuni di loro a Gazeta Românească
Grosseto, 18 gennaio 2012 – “Abbiamo seguito la procedura, è stato difficile tenere sotto controllo una folla in preda al panico, tra urla e disperazione della gente, parlando in tre lingue contemporaneamente. Non è vero che noi, membri dell’equipaggio, non abbiamo aiutato i turisti. Al contrario, abbiamo fatto del nostro meglio” racconta Cristina, 29 anni, originaria di Bucarest, responsabile alle cabine.
Confessa che è indignata quando sente ai Tg che i membri dell’equipaggio non si sono comportati a dovere, che non hanno aiutato i passeggeri: “Non è vero. Non capisco perché si lamentano. Abbiamo fatto il nostro dovere. Non è facile parlare in tre lingue, allo stesso tempo, per tenere a bada centinaia di persone che stanno spingendo e gridano, in preda al panico, per raggiungere le scialuppe di salvataggio”. E poi precisa: “C’erano solo tre responsabili per 1500 cabine, non è stato facile gestire la situazione”.
Dimitru, trentacinque anni, originario della città-porto di Constanţa, è un dipendente del Casinò. Ricorda quei momenti chiaramente: “Da quando lavoro sulla nave abbiamo visto e vissuto di tutto: uragani, tempeste. All’inizio non ci siamo resi conto di quello che stava succedendo, in verità l’ho capito solo una volta scesi dalla nave. In un primo momento, ero sicuro che non avremmo abbandonato la nave, almeno noi dipendenti”.
“Quando c’è stato l’incidente ero in servizio al Casinò e abbiamo continuato con le procedure di emergenza previste, per così dire, nel nostro reparto” continua Dumitru, che lavora sulle navi da crociera dal 2002. “Al quinto piano, l’impatto non si è sentito quasi per niente. Abbiamo sentito il pavimento un po’ traballante, come se andassimo in auto su una strada con buchi. Si è sentito di più quando la nave si è inclinata…poi c’è stato il black out. Noi abbiamo assicurato tutto, in conformità con le procedure, poi siamo andati a prendere i nostri giubbotti di salvataggio”.
Dumitru è stato tra gli ultimi a imbarcarsi sulle scialuppe, insieme ad altri dipendenti. Ha potuto costatare che molti membri dell’equipaggio non erano pronti ad affrontare un’emergenza del genere: “Non tutte le barche erano funzionali, ma il fatto più grave è che nessuno sapeva guidare le scialuppe, nemmeno i capi-dipartimento. Quando abbiamo abbandonato la nave, c’era soltanto un’altra scialuppa”.
“Cercavamo di far mantenere la calma. Anche noi abbiamo mantenuto la calma, in molti pensavamo che stavamo evacuando solo i passeggeri, anche perché non è la prima volta che noi, dipendenti e i membri dell’equipaggio rimanevamo a bordo” dice Stefan, 26 anni. “C’erano urla, la gente spingeva, credo che è stato lo stesso sul Titanic. Se noi non fossimo riusciti a trattenerli, metà di loro si sarebbero buttati in acqua, e non sarebbero saliti sulle scialuppe”, aggiunge Mihai, 28 anni, di Bucarest.
Iuliana, trentaquattrenne di Braşov, preferisce non parlare della tragedia. Era commessa in un negozio sulla Concordia. Come gli altri membri della „crew”, è rimasta senza documenti, che erano custoditi dai responsabili della compagna. Ma ora non le importa delle cose andate perdute.
Per Dumitru, Stefan, Iuliana, Mihai, Cristina e gli altri, Costa Concordia era come una casa, dove passavano 10 mesi all’anno. Ora, sono contenti di essere vivi.
C.V. per Gazeta Românească