di Adela Kolea
Sono appena rientrata da un breve viaggio nella mia città natale, Tirana. Tra le svariate cose che avevo in programma da realizzare possibilmente durante questo viaggio nella nostra capitale – oltre a quello di poter incontrare più amici e parenti possibile – in cima alla mia “graduatoria” di preferenze, c’era anche una curiosità da togliermi di cui, dei miei vecchi amici erano già a conoscenza. Cioè, avevo già espresso a loro che il primo viaggio che avrei fatto a casa quest’estate, sarei andata, dove di preciso? A visitare dall’interno e dunque, salire sulla Torre dell’Orologio di Tirana, restaurata di recente dal Municipio e dal Ministero della Cultura e aperta al pubblico a giugno. E infatti, proprio così ho fatto.
Quel giorno non ho preso la macchina, ho preferito girare a piedi nel centro città e mi sono recata verso la Torre.
È imponente la Torre, ha un suo proprio fascino da sempre. Ma devo dire che l’abbiamo osservata soltanto da lontano, dall’esterno, da quando eravamo bambini. All’entrata trovo una folla di turisti italiani ed altri che parlavano inglese, non so di preciso da dove venissero. L’entrata è gratis, la ragazza che si occupava della gestione della fila dei visitatori comunicava che potevano salire sei alla volta, in quanto tali sono la capacità della struttura e le misure della Torre, per non creare confusione e per motivi di sicurezza. La sua altezza è di 35 metri, i gradini interni sono 90.
Circa due secoli fa, quando è stata costruita, questi gradini erano di legno pregiato, ma con il passare del tempo, si è preferito sostituirli con il ferro. I muri sono fatti di pietre scolpite.
Una volta saliti su, si poteva ammirare il bel panorama della città dall’alto. Forse prima, si sarebbe visto un panorama ben più ampio, in quanto, edifici altissimi non ce n’erano, oggi invece la visuale è un po’ più condizionata da questo punto di vista.
Una turista italiana che mi ha gentilmente chiesto di scattarle una foto, mi ha detto ad un certo punto: “Guardi cos’abbiamo alle nostre spalle per coincidenza, l’Istituto Italiano di Cultura!” Infatti quell’edificio si trova proprio accanto alla Torre.
La moschea di Ethem Bej è l’edificio più vicino dall’altro lato della Torre. Un signore anziano albanese, mi dice mentre facciamo una breve sosta una volta arrivati in alto: “Quando eravamo bambini, mi ricordo che mentre i miei entravano in moschea a pregare, io ed altri miei coetanei, salivamo sulla Torre, nonostante un custode ci rincorresse e ci sgridasse. Ma per noi quello era un momento di puro svago”. E quel giorno invece, la nipote di questo signore anziano, che era emigrante in Italia, aveva fatto venire a visitare la Torre, un gruppo di turisti romani.
In cima alla Torre, uno di questi turisti di Roma, mi chiede: “Si sta avvicinando l’ora di pranzo, che specialità tipica culinaria di Tirana mi consiglia? E tira fuori dalla tasca un piccolo block notes per prendere appunti. “Chieda pure della “Fërgesë Tirone” , “Tavë dheu”, oppure del “Byrek me qumësht” – gli dissi – e poi vedrà che i ristoratori saranno loro stessi a proporre dei piatti tradizionali”. Intanto lui prendeva degli appunti.
Ho ammirato Tirana dall’alto, con un misto di sensazioni: l’effetto di questa novità della ristrutturazione di per sé, mescolato con la nostalgia che scaturisce quando dall’alto vedevo strade percorse di frequente tempo fa, vedere ora i tanti stranieri lì accanto a me sulla nostra Torre …
Una volta scesa giù, ho visitato il Museo Etnografico allestito lì accanto con esemplari di abiti tradizionali e folcloristici di Tirana, appesi in cornici oppure sistemati in un “senduk”, in un baule tipico, come: camicie ricamate, “dimi mendafshi” – pantaloni larghi di seta tipici da donna, “xhamadan” – smanicato di feltro e lana da uomo, strumenti musicali folcloristici del posto come “dajre” – tamburello, ecc.
Devo dire che quella, è stata per me una mattinata emozionante, in quanto, l’emozione immancabile che si prova tutte le volte che si fa ritorno alla città natale, è stata seguita da un altro valore aggiunto: dalla visita in uno dei simboli culturali e storici della capitale, che sprigiona fierezza e trasmette senso di continuità, che con soddisfazione, lo ritrovi in ottimo stato e ristrutturato.