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La bandiera vilipesa alla quale nessuno ha porto scuse

Di Benko Gjata, Vatra Torino

La bandiera nazionale è il simbolo rappresentativo, esteriore e formale, dello Stato e in particolare delle supreme istituzioni politiche che lo compongono. Essa, se vogliamo, rappresenta lo spirito nazionale di un popolo.

Per questo motivo il suo vilipendio, – per definizione un offesa lesiva di un valore protetto dalle leggi dello Sato, – viene considerato un reato. Il codice penale italiano ad es. punisce chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge la bandiera nazionale con la reclusione fino a due anni.

La sera del 12 ottobre 2010 allo stadio Marassi di Genova un gruppo di pseudo-tifosi serbi, oltre ad aver messo a ferro e fuoco lo stadio e la città, determinando, tra l’altro, la cancellazione dell’evento sportivo, ha anche vilipeso, intenzionalmente e in mondovisione, la bandiera nazionale dell’Albania.

Il gesto costituisce, a mio parare, un oltraggio grave alle istituzioni e al popolo albanese, reso ancor più significativo e pesante dalla presenza in Italia di quasi 500 mila cittadini di origine albanese.

I fatti di Genova hanno subito determinato una reazione a catena. Condanne unanimi alla violenza, promesse di tolleranza zero, giustificazioni e scuse formali si sono susseguite nel corso della giornata. Ma nella selva delle dichiarazioni, credo che nessuno degli attori coinvolti abbia pensato di chiedere scusa agli albanesi e alle loro istituzioni, anche loro vittime degli atti osceni di Genova.

Per questo motivo credo che sia giusto chiedere nell’ordine all’U.E.F.A., in qualità di ente organizzatore dell’evento e ai governi italiano e serbo, che dovevano garantire il normale svolgimento della partita, la presentazione di scuse formali ai cittadini e alle istituzioni albanesi per aver permesso che in un’attività sportiva, affidata alla loro gestione, la loro bandiera nazionale, il simbolo più alto dello Stato e della Nazione venisse vilipesa agli occhi del mondo intero.

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