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La Repubblica: L’Albania, terra promessa di tanti italiani

La terra che vent’anni fa produceva disperazione oggi accoglie gli emigrati italiani, dell’estrazione sociale varia, «espulsi» dal sistema produttivo, esodati che si mettono in viaggio. ll’inizio erano imprenditori affamati di manodopera low cost, ora seguono operai, artigiani, elettricisti, idraulici, saldatori, meccanici, marmisti. E poi avvocati, medici, architetti e altri ancora.
Lo dice la Repubblica che oggi dedica al fenomeno della migrazione italiana in Albania un articolo di Paolo Berizzi:

Lamerica capovolta è Roberto che è cuoco e ristoratore. Viene da Viterbo e dice che con un’ora di volo rinasci. «Stavo in cucina 16 ore al giorno per tirare su una miseria. Strozzato dalle tasse, frustrato. Là ero uno dei tanti, qui sono uno dei pochi». Roberto Cannata, 49 anni, torinese, vent’anni nel Lazio fino allo “sbarco” nella terra che produceva disperazione e pompava esodi di massa. Adesso Roberto fa quaranta coperti al “Basilico”, cinque minuti dal “block” commerciale di Tirana. Clienti italiani e albanesi. Una faccia una razza? «Forse sì. Siamo popoli che si guardano». Un residuo di diffidenza, soprattutto da parte italiana, che si stempera fino alla nemesi più sorprendente: lo scambio migratorio. Eccoli, gli immigrati al contrario. Vent’anni dopo. Gli italiani d’Albania.

Quelli che «in Italia non c’è più speranza ». Spinti oltre Adriatico dalla crisi beffarda, muovono verso l’altra costa a caccia di un salario. Gli altri, gli albanesi d’Italia, quelli de Lamerica degli Anni ‘90, viaggiano sulla stessa rotta (nave o aereo). Ma loro tornano per le ferie. Portano soldi e regali ai parenti. Se li sono guadagnati con quasi un quarto di secolo di duro lavoro.

Chi è l’italiano che emigra in Albania? Uomo, 25-50 anni, più Nord. Estrazione sociale varia. «Espulsi» dal sistema produttivo, esodati che si mettono in viaggio, e non è proprio una vacanza. All’inizio erano imprenditori affamati di manodopera low cost.

Ora seguono operai, artigiani, elettricisti, idraulici, saldatori, meccanici, marmisti. E poi avvocati, medici, architetti. E gli operatori dei call center. Un settore a sé, con un plotone di società che hanno trasferito qui le loro batterie di risponditori a cottimo (Gruppo Abramo, Teleperformance, Infocall, Teletu, Transcom, Grid di Marina Salamon, per citarne alcuni). L’inflessione dei telefonisti locali è italiana. Si confonde con quella dei nostri studenti. Per mantenersi nelle oltre cinquanta università private albanesi non sputano su 200-300 euro al mese. È lo stipendio medio. Ma la vita qui costa un quarto. «Meglio poco che niente ». È lo spot del nuovo immigrato. Due anni fa, compiuti i 26, Davide Barzani ha fatto la valigia e da Brescia, patria del tondino, ha esportato il suo mestiere a Tirana. Saldatore. Poi siccome le cose andavano bene si è messo a insegnarlo. «Sei allievi, un tavolo, una saldatrice», racconta nel laboratorio di “Mondo saldatura”.

«Il mercato si sta ampliando e c’è lavoro. Come sono arrivato qui? Grazie a un amico. Albanese». Il “gancio”, un classico. L’amico, il collega, il parente acquisito. «Gli italiani l’Albania la annusano prima di partire», ragiona Carlo Alberto Rossi, consulente per una clinica privata a capitale italiano. «C’è chi arriva per disperazione, chi per riscattarsi da fallimenti. Chi perché intuisce le potenzialità». Burocrazia snella, 10% di pressione fiscale contro il 70 dell’Italia; settori dove si aprono praterie perché il livello di specializzazione è quello che è. «Il fenomeno migratorio al contrario è destinato a raddoppiare nei prossimi due-tre anni».
Quanti sono, per ora, gli italiani? I numeri danzano. Partiamo dalle aziende. I dati della Camera di commercio riconducono a una ricerca Istat del 2012 che registra 1460 società con almeno un socio italiano. La stima si stringe a 600 se si considerano quelle operative. Vediamo ora la popolazione. Sono 500 gli italiani residenti. Milleottocento i permessi di soggiorno “in corso” (su una popolazione di 2,8 milioni). Quasi un migliaio, infine, i connazionali che studiano medicina all’Università Nostra Signora del Buon Consiglio, gemellata con Roma Tor Vergata (però le cronache ricordano sempre e solo il caso del “Trota” Renzo Bossi e delle lauree a gettone).

Tiriamo le somme: 3 mila è la cifra della nostra comunità nella porta dei Balcani. A spanne. «Nessuno sa quanti siano davvero gli italiani», spiega Luigi Nidito, vice presidente della Camera di commercio. «Molti si muovono per conto loro e si rivolgono alle istituzioni solo se le cose vanno male. L’italiano preferisce essere volatile»…

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