Le corti si vanno assimilando al modello totalitario che imperava durante il comunismo: non condannano “nemici del popolo” (almeno non ancora…), ma assolvono tutti i “bravi” servitori dello stato che “inciampano” in illegalità che vanno dalla corruzione attiva al massacro d’inermi innocenti che lavorano in nero in fabbriche della morte governative (il caso Gërdec) fino agli spari che uccidono cittadini
La recente sentenza della Corte di Tirana che assolve gli accusati di aver eseguito materialmente 3 degli 4 omicidi perpetrati nel massacro del 21 Gennaio conferma la sensazione di tutti gli albanesi onesti interessati alla giustizia che la nostra è una repubblica fondata sull’ingiustizia. La più completa omertà degli alti vertici del governo albanese conferma la loro impenetrabilità nel nascondere il delitto di stato commesso contro la protesta dell’opposizione. La sola versione ufficiale dei fatti che dovrebbe circolare è quella data da Berisha a “Le Monde” nel maggio 2011: “Il 21 Gennaio è stato un evento molto infelice ma in fin dei conti una vittoria per lo stato di diritto e la democrazia. Un tentativo di abbattere il governo, effettuato da criminali pagati dall’opposizione, è stato sventato. Per 5 ore è stato attaccato l’edificio del consiglio dei ministri”.
Con l’ultima sentenza di assoluzione la giustizia albanese è crollata, mettendo sotto anche gli ultimi simulacri dello stato di diritto in Albania.
È pauroso il trend “discendente” delle libertà albanesi, accentuatosi dopo il 21 Gennaio. Per la ONG “Freedom House” siamo un paese “parzialmente libero”, malgrado l’assordante propaganda berishiana giurì il contrario. Nella classifica del 2013 di “Reporter senza frontiere” sulla libertà di stampa siamo 102-simi su 179 paesi, con la freccia della libertà che va giù di 6 posti rispetto al 2012. Possiamo forse dimenticare che nel 1997 un comitato internazionale sulla protezione dei giornalisti mise l’attuale premier albanese tra i 10 nemici della stampa libera? Per quanto riguarda “la lotta senza quartiere alla corruzione” (promessa nel 2005 da Berisha per riprendersi il potere), essa è una barzelletta in Albania, il paese più corrotto dei Balcani secondo “Transparency International”.
Le corti si vanno assimilando al modello totalitario che imperava durante il comunismo: non condannano “nemici del popolo” (almeno non ancora…), ma assolvono tutti i “bravi” servitori dello stato che “inciampano” in illegalità che vanno dalla corruzione attiva al massacro d’inermi innocenti che lavorano in nero in fabbriche della morte governative (il caso Gërdec) fino agli spari che uccidono albanesi ridotti alla disperazione dalla povertà medievale albanese.
È uno schema ben preciso questo delle corti di ingiustizia berishiane: adattando la legge agli interessi del padrone politico onnipotente, si assolvono da ogni accusa – sfruttando “proceduralmente” ogni possibile o inventato vizio di forma o di sostanza dell’accusa – gli imputati dello stato. Da capo del governo Berisha difende a spada tratta giudici e temporanei imputati, accusando nel caso la Procura – senza fornire nessun indizio e men che meno prova – di essere al soldo dell’opposizione, che in questo schema ingannoso sarebbe una truppa di antialbanesi dominati dalla mentalità da sanguisughe degli ex-esponenti del comunismo.
In effetti, è il regime di Berisha che, instaurando il regno della paura e seguendo le orme tracciate durante il comunismo, diffonde in tutto il paese, l’odore marcio di una nuova carica liberticida. L’uccisione della giustizia perpetrata con la sentenza-choc sul 21 Gennaio non è altro che una nuova prova di questo disegno mortificante. Sottomettendo al suo giogo il sistema della giustizia, la maggioranza a Tirana controlla tutti i poteri dello stato. È visibile a occhio nudo il tragico errore del leader dell’opposizione albanese Rama nell’accettare di cambiare la Costituzione nel 2008. Nella nuova versione il premier è eleggibile con 71 voti su 140 deputati, non è sfiduciabile a meno che non siano già pronti un governo e premier ombra con una nuova maggioranza e per lo più anche il presidente della repubblica può essere eletto a maggioranza semplice, aprendosi la carica di Capo dello Stato a un qualsiasi poco più che anonimo notaio della maggioranza governativa.
Giustizia non è fatta sul 21 Gennaio. La chiedevano la maggioranza silenziosa degli albanesi, popolo dignitoso ridotto alla schiavitù dei diritti da un manipolo di corrotte figurine. La chiedeva la comunità internazionale, la quale forse non reagisce sempre con prontezza – come vorrebbe la maggioranza silenziosa albanese – alle malefatte del nuovo (vecchio) regime di Tirana, ma sicuramente annotta questi abusi e silenziosamente ci cataloga come uno Stato-fantoccio. La sentenza della vergogna sul 21 Gennaio testimonia che il potere di Tirana è sempre pronto in ogni futura evenienza ad usare la mannaia di queste corti asservite per perpetuare nel tempo la sua permanenza in carica. A voce alta Berisha promette un referendum sulle leggi che ci avvicinerebbero alla candidatura di entrata nell’UE, ma è limpidamente chiarissimo agli albanesi con la testa sulle spalle e a molti politici svogliati di Bruxelles che a causa della sua insaziabile sete di potere perpetuo l’Albania rischia un nuovo pericoloso isolamento internazionale. Per i paesi i quali non sanno trarne gli insegnamenti da essa la Storia sa essere molto beffarda nel ripetersi. L’Albania sta tornando a grandi passi verso un passato da dimenticatoio.
Gjergji Kajana, Roma
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