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Le anime in pena di Gentian Koçi

Recensione di Eliza Çoba del film “Daybreak – Dita zë fill”

Eutanasia, assistenza agli anziani in punto di morte, degrado ambientale e degrado sociale sono i temi trattati nel film “Daybreak – Dita zë fill”, del regista albanese Gentian Koçi

Il film viene presentato all’ottava edizione del Festival Francofono di Roma, ideato e coordinato dall’Institut français – Centre Saint-Louis, dipendente dell’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede, il festival è organizzato in collaborazione con le Ambasciate e rappresentanze di paesi membri dell‘Organizzazione Internazionale della Francofonia (OIF).

Si aprono le porte della sala, si spengono le luci, comincia la proiezione e regna il silenzio.

Le due principali protagoniste, Leta interpretata da Ornela Kapetani, premiata come miglior attrice al Film Festival di Sarajevo 2017 e Sofia interpretata da Suzana Prifti, sono costrette a consumare le proprie esistenze ai margini di una società che le rifiuta. Questa inesistente comunità, dato che ognuno lotta per la propria sopravvivenza, che riflette un fittizio senso comune, poiché emerge carica di pregiudizi e pregnante di individui corrotti, potrebbe essere il principale responsabile che condiziona il tragico epilogo di destini già segnati a loro volta.

Rimasta disoccupata, per esser stata complice di un caso di eutanasia, nell’ospedale dove prestava servizio, l’infermiera Leta non viene denunciata alle autorità, soltanto perché il capo del suo reparto era il padre del bambino, che non riconoscerà mai come suo figlio.

Ormai sola e senza lavoro, e con una cospicua somma di denaro da restituire al padrone di casa, Leta accetta di accudire la madre della sua amica Arianna, in partenza verso la Francia, per rimettere in piedi il proprio matrimonio con il marito francese.

Per avere la pensione dell’anziana allettata e un tetto dove stare insieme al figlio di un anno, Leta escogita un piano, che le permetterà di mantenere in vita la povera signora anziana, nonché sua fragile fonte di sicurezza temporanea, visto le condizioni fisiche nelle quali versa l’anziana, che dal canto suo desidera tanto morire.

Lo scarso uso dei dialoghi e l’inesistenza degli effetti speciali, fanno si che risalti il talento indiscusso delle due principali protagoniste.

La loro angoscia e il forte disagio che caratterizza la storia dei personaggi, raggiungono il pubblico attraverso movimenti frenetici che a loro volta generano rumori fastidiosi.

L’anima ferita di Leta sta andando verso la deriva, esattamente come il corpo di Sofia. L’anima di un’imprigionata nel peccato, senza possibilità di redimersi, stando al finale della pellicola.

L’esordiente regista Gentian Koçi ci mostra un’Albania che grida aiuto. Malgrado gli sforzi fatti per migliorare la propria esistenza, gli strumenti usati e i compromessi raggiunti portano soltanto in direzioni sbagliate, in vie oscure dove l’anima non vede la pace, bensì la morte senza possibilità di rinascita. Una società peccatrice che attacca la ‘lettera scarlatta’ agli sfortunati, ai più deboli, a chi non sa come difendersi dalle avversità della vita. Una società che scaglia la pietra contro i peccatori, ‘convinta’ di stare nel giusto.  Mi chiedo se la storia si sta ripetendo, o se questi fenomeni sono frutto dello sviluppo e della frenetica voglia di correre senza girare la testa indietro. Le porte dell’Europa forse si apriranno per noi albanesi, ma dobbiamo sempre vedere se non sbattiamo contro qualche muro, l’urto con il quale ci sbatte dritto, dritto in quel passato dal quale vogliamo fuggire.

 

 

 

 

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