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No all’esercito di riserva per la dispersione dei voti! 

I candidati albanesi sono dilaniati dalla contrapposizione tra quello che sarebbe lo spirito di identità personale/realizzazione individuale e un altrettanto spirito divisivo sul piano politico e sociale, che impedirà un reale gioco di squadra, oltre che sotto il profilo culturale.
Altro problema è la reale comprensione e metabolizzazione del passato recente: mediamente soffrono della sindrome degli ultimi arrivati, che colgono al volo questa opportunità, da qualunque forza politica arrivi, per tentare il salto di qualità e diventare “primi”.
Io voterei Geri Ballo: per un nuovo stile legislativo europeo più vicino ai cittadini, per ricollegare l’Europa all’Italia, per uno sviluppo europeo del sud. Dove individuo tre parole d’ordine: riavvicinamento, collegamento, sviluppo, una conseguente all’altra.
Di Anilda Ibrahimi *

 

Anilda IbrahimiTutti i sistemi in tutti i paesi del mondo, in tutta la storia ed indipendentemente da quale fosse il loro regime politico, sono stati attraversati da un continuo interscambio culturale, linguistico, letterario e politico, con il mondo circostante: l’Italia non ha fatto eccezione da questo punto di vista, ed anzi, la mancanza di unità politica fino a tempi recenti ha forse reso questo fenomeno più imponente che in altri paesi: anche se la specificità italiana è consistita dall’essere un paese esportatore di cultura piuttosto che importatore. 

Forse è proprio a causa di questo suo passato di “dominatrice culturale” che ad un certo punto si scopre che esiste anche una corrente “in”, oltre che “out” ed ora s’incomincia ad interrogarsi sul fenomeno in maniera più consistente e più persistente anche negli ambienti politici. 

È innegabile che in questo momento storico in Italia molto del dibattito politico è incentrato sui temi connessi alla migrazione ed ai rapporti con lo straniero ed è un dibattito che si fa sempre più rovente. Quando la valanga inizia, trascina via qualsiasi cosa incontra per la sua strada senza chiedere il permesso e l’unica cosa che può fermarla è quella stessa forza di gravità che l’ha scatenata: l’ondata infatti termina quando finisce schiacciata sotto il suo stesso peso. Attualmente, a leggere i giornali, l’Italia sembra dividersi tra due fazioni, l’una che accusa l’altra: rispettivamente di fascismo, nazismo razzismo, e l’altra che risponde con accuse di tentato etnocidio ai danni dei nativi italiani tramite immigrazione selvaggia indotta da biechi interessi economici. 

In questo panorama si inserisce anche il voto del 26 maggio. Per i tanti candidati albanesi che vediamo in questo giro non è facile. Sono dilaniati dalla contrapposizione tra quello che sarebbe lo spirito di identità personale/realizzazione individuale e un altrettanto spirito divisivo sul piano politico e sociale, che impedirà un reale gioco di squadra, oltre che – sotto il profilo culturale – da una reale comprensione e metabolizzazione del passato recente: la sindrome degli ultimi arrivati, che colgono al volo questa opportunità, da qualunque forza politica arrivi, per tentare il salto di qualità e diventare “primi”. 

Con questi presupposti, e sgombrando il campo dal mio vissuto e dalle mie posizioni personali, escludo che queste elezioni potranno avere un significato per lo spirito comunitario albanese, gli albanesi in Italia, sono quasi ansiosi di liberarsi dei costrutti sociali che loro identificano con la loro cultura di provenienza: il risultato è la polverizzazione della cosiddetta “diaspora albanese” e l’impossibilità di fare sinergia. 

Alla politica odierna, la comunità albanese, la seconda in ordine di grandezza, ossia 8,6 per cento di tutti gli stranieri presenti sul territorio fa comodo per la costruzione di un qualche “esercito di riserva” – tanto per citare il vecchio Marx – un esercito da dove si pescano voti per l’interesse del partito ma non dell’individuo, spesso scelto anche a caso non per le sue capacità politiche, tanto meno per l’interesse della comunità. 

Questa operazione meriterebbe una: no grazie, la divisa noi albanesi l’abbiamo già indossata ai tempi del comunismo, ora vogliamo essere altro. Una presa di posizione cosi netta è tuttavia infattibile, lo diventerà soltanto quando si verificherà una vera integrazione; al momento tanti candidati chiamati dalle forze politiche e a volte senza alcuna militanza accettano perché credono di intravvedere una qualche realizzazione personale: detto più semplicemente, spinti dalla voglia di riscatto. Faccio questa constatazione non per esprimere un giudizio morale ma come un dato di fatto, è umano cercare la realizzazione personale e forse quando ciascuno di noi si sentirà realizzato sarà anche il momento che potrà dare alla comunità in un altro senso più ampio. 

Ho seguito con curiosità anche se sporadicamente questa campagna non solo come albanese non solo come italiana ma anche come scrittrice che ha osservato per anni da dietro le quinte il meccanismo di un esodo massiccio come fu il nostro, che ha frantumato il passato in tempi così rapidi da non lasciare modo di valutare cosa si sarebbe dovuto portare avanti nel luogo d’arrivo, cosa diventare, come prima generazione, in questa nuova identità.

Il tutto aggravato da una contraddizione che potrà essere sanata soltanto col tempo: ossia la contraddizione schizofrenica tra il rifiuto del nazionalismo e del militarismo tipici del fu regime comunista albanese e la natura sostanzialmente etnocentrica della cultura albanese tradizionale, elemento che ha consentito la sopravvivenza a cinquecento anni di dominio turco. 

E in questi tempi ho sentito spesso la solita litania albanese, non siamo capaci di fare comunità e mi chiedo cosa significhi. Si intende non creano ghetti stile Chinatown? Ma il mondo virtuale, dove mi capita di leggere tali affermazioni è il luogo dove tutto accade in stile autoreferenziale, proclamando opinionisti e analisti che nascono e muoiono dall’oggi al domani, non è una cosa albanese, esiste in tutto il mondo, è la malattia del secolo. 

 Il mondo virtuale – albanese o no – non è nemmeno la vita reale, la vita reale sono quasi 450 mila albanesi (senza contare all’incirca 200 mila naturalizzati che non entrano nelle statistiche ufficiali) che hanno fatto comunità ospitando fratelli, cugini, parenti o conoscenti nei primi anni, sono i titolari delle imprese che assumono regolarmente i conterranei, coloro che lavorano, studiano, vivono tra le mille difficoltà della modernità, tra la nuova identità che non e più albanese ma nemmeno tutta italiana, siamo noi che a volte un opinione nemmeno lo abbiamo perché la vita la viviamo in silenzio e le nostre battaglie le facciamo in altri modi. Ho tirato fuori questo argomento perché si rischia di creare il meccanismo di autoconvinzione, trasmettendo e tramandando ai nostri figli una percezione falsa su noi stessi. 

Il 27 maggio si dirà che la colpa del risultato sarà certamente degli albanesi che non hanno votato per la loro comunità. Scegliere il voto come elettore o scegliere il partito di appartenenza come candidato penso sia il segnale di un’integrazione chiara, netta, senza lasciare spazio ad alcun commento. Personalmente posso non condividere certe scelte ma le considerazioni personali li tengo per me, questa è la democrazia. 

Inoltre il risultato del voto sarà determinato da altri fattori obbiettivi. Stiamo cercando di bruciare le tappe dimenticando la storia delle migrazioni nel resto del mondo. Il primo politico di origine italiana negli USA è Fiorello La Guardia, nato a New Work nel 1882 da genitori italiani e fu eletto sindaco di New York nel 1934. In tempi più recenti e in Europa è Hadia Tajik nata in Norvegia da genitori pakistani, fu eletta come Ministro della Cultura nel 2012. I sopracitati li accomuna una cosa, appartenevano entrambi alle seconde generazioni. È positivo il fatto che gli oltre 150 candidati si sentono pienamente italiani ma ci vuole tempo ad essere percepiti come tali da chi ci sta intorno, e una questione identitaria che verrà risolta con le seconde generazioni senza drammi, piagnistei e vittimismi inutili. La politica non è necessariamente il barometro di una integrazione ben riuscita. Lo sono invece il numero delle imprese, sono i medici che quotidianamente vediamo nelle corsie degli ospedali, gli infermieri, ingegneri, operai, artisti, i grandi chef e i cuochi, gli studenti e tanto tanto altro. 

C’è chi dice che questo giro anche se di “setaccio” (invece io le chiamerei candidature civetta), sia un bene per gli albanesi perché spiana la strada. Penso che non spianerà alcuna strada a chi nel futuro vorrà fare politica, ma creerà casomai difficoltà oggettive per cancellare il precedente di persone senza competenze e messe solo come bandiera di integrazione per un calcolo politico dal partito di turno. Ovviamente non generalizzo, ci sono eccezioni anche in questo, persone valide con percorsi di militanza e non improvvisati. Mi vengono in mente nomi e storie che ho incrociato per diversi motivi, come Eva Meksi, Ilda Beqo, Sonila Alushi, la candidata a sindaco di Livorno Ina Dhimgjini e sicuramente altri che non conosco. 

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Geri Ballo invece è l’unica candidata alle europee. Sorvolo volutamente sulla parola integrazione, perché la trovo fuori luogo in questo contesto, la sua candidatura va sostenuta da un elettorato ampio che potrebbe rispondere male a questa parola, personalmente la trovo dannosa: perché è doveroso per ogni cittadino nuovo, concludere il suo percorso di integrazione, sia un operaio, medico, politico o altro; non è un titolo di merito. Geri, ma anche gli altri, vanno votati non come albanesi integrati ma come i nuovi cittadini italiani. Obama in America ha stravinto per la sua bravura ma soprattutto come americano e non come americano di origine keniota come anche la più giovane deputata di sempre degli Stati Uniti Alexandria Ocasio-Cortez, da americana ha puntato sulle tematiche della sinistra progressista e non sull’elettorato portoricano o quello di colore

Io, piuttosto, come italiana, voterei Geri Ballo perché sono convinta che lei continuerà a portare avanti le sue battaglie ma in una scala più grande e più utile per tutti. 

Le sue esperienze internazionali daranno un contributo a mettere mano sulla legislazione spesso iperburocratica e cervellotica di Bruxelles nel senso della trasparenza e dell’usabilità riavvicinandola ai bisogni reali dei cittadini, che siamo noi. 

Aver lavorato per l’integrazione della propria comunità diventa molto utile in chiave di portare avanti presso le istituzioni dell’Unione le problematiche italiane derivanti spesso da una mancata capacità di comunicazione e di pratica con quelle istituzioni stesse (con conseguente emarginazione degli italiani che oggettivamente contano poco in quei paraggi). 

La forza di Geri Ballo sta nel suo percorso e nelle sue origini, origini di cui va molto fiera ma che non ha usato in alcun modo per toccare i tasti pietosi che richiamano l’elettorato a votare sotto il sentimento paternalistico di chi sta dall’altra parte, la ragazza albanese che ce l’ha fatta, anzi, con garbo è andata oltre ponendosi come interlocutrice alla pari con gli altri candidati e soprattutto in un dialogo chiaro ed efficace con l’elettorato senza il pressappochismo e l’infantilismo che colpisce la politica odierna, che spesso fa capire che se vieni eletto ottieni una sorta di potere autocratico tale da poter cambiare il mondo. Lei, con fermezza, ha indicato solo la direzione verso la quale indirizzerà il suo lavoro. 

Il suo percorso lavorativo invece dà a Geri Ballo quella marcia in più per fare un serio discorso sul lavoro e sulle opportunità di sviluppo, questioni che in zona Unione Europea si declinano in termini di allocazioni e finalizzazioni per le varie linee di azioni finanziarie (e dove il parlamento europeo ha un grosso ruolo). In quest’ambito, è noto che i flussi finanziari sono negativi per l’Italia, che dà notoriamente più soldi di quanti ne riceva, e spesso non riesce neanche a spenderli, quindi: cercare di portare avanti le proposte di legge di riforma del FERS, del Fondo Sociale, ma soprattutto dei programmi quadro di ricerca e sviluppo, tutte linee finanziarie a cui il Sud Italia è particolarmente sensibile, visto che è lui ad usufruirne: specialmente per quanto riguarda l’ultima, collegata al tema delle start-up.

In sintesi, voterei Geri Ballo: per un nuovo stile legislativo europeo più vicino ai cittadini, per ricollegare l’Europa all’Italia, per uno sviluppo europeo del sud. Dove individuo tre parole d’ordine: riavvicinamento, collegamento, sviluppo, una conseguente all’altra. 

* Alla chiusura della campagna per le Elezioni amministrative e Europee 2019 Shqiptari i Italisë ha chiesto la sua opinione a Anilda Ibrahimi, scrittrice italofona, che pubblica per Einaudi. Il suo primo romanzo Rosso come una 2008 ha vinto i premi Edoardo Kihlgren – Città di Milano, Corrado Alvaro, Città di Penne, Giuseppe Antonio Arena. L’amore e gli stracci del tempo (2009 di cui sono stati opzionati i diritti cinematografici) ha vinto il premio Paralup della Fondazione Nuto Revelli. Nel 2012 ha pubblicato, Non c’è dolcezza e, nel 2017, Il tuo nome è una promessa, premio Rapallo. I suoi romanzi sono tradotti in 10 paesi. 

 

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