Tentativo di aggiornamenti sulla Sindrome del Nanismo in Albania
di Adela Kolea
Con la premessa che scrivo queste righe, senza avere l’intenzione di urtare la sensibilità di nessuno, d’altro canto, non per raccogliere sentimenti di pietà per i protagonisti della questione che tratterò – delle persone affette da “acondroplasia”, oppure dalla forma più comune, il cosiddetto “nanismo acondroplasico” – con la premessa che sì, sono sempre stata attirata dai temi sociali in generale, vi vorrei raccontare quanto segue.
Forse un po’ insolito questo tema trattato da me, ma non per questo, un tema inesistente od inerente a persone invisibili.
Vorrei parlare della Sindrome di Nanismo. E più precisamente, sulla sua situazione in Albania. Vi chiedereste: su quali basi o competenze? Chiaramente, non essendo un medico, non su basi medico-scientifiche, ma semplicemente su quelle umane e sociali.
L’acondroplasia (ACP), che colpisce circa 1/25.000 nati vivi, è una malattia genetica caratterizzata da un mancato sviluppo armonico della cartilagine di accrescimento delle ossa lunghe degli arti. La cartilagine di accrescimento è quella parte dell’osso che nel bambino non è ancora saldata e che permette l’allungamento progressivo dell’osso stesso. La malattia provoca perciò gravi disturbi della crescita e risulta una delle più comuni forme di nanismo (nanismo acondroplasico).
L’altezza media degli adulti è di circa 130 cm nei maschi e 125 cm nelle femmine.
Fonte: Associazione Italiana Acondroplasia “Insieme per crescere” ONLUS
Come ben sappiamo, questa è una sindrome rara nel mondo e di conseguenza, anche in Albania.
“I nani”, in Albania avevamo iniziato a conoscerli – come primo approccio – nel film turco trasmesso all’inizio degli anni ’90 dalla TV albanese, “Biancaneve e i setti nani”. Come personaggi televisivi, i nanetti risultano divertenti e carini. Sempre pronti con la loro tenerezza, a strappare un sorriso alla gente. Sono usuali i loro ruoli da folletti accompagnatori di Babbo Natale nei film trasmessi in periodo natalizio oppure in altri ruoli.
Ma io vorrei fare un salto indietro nel tempo con la mia memoria – proprio perché la vita non è un film, si sa – in Albania fino agli inizi degli anni ’90. Quello è il mio ultimo periodo di vita trascorso in Albania in quanto, successivamente mi sono trasferita in Italia.
Fino ad allora a Tirana non ce n’erano tanti di loro. Io da adolescente ne conoscevo solo due. Ricordo anche i loro nomi. Uno, un uomo, che lavorava nella stessa ditta pubblica dove lavorava mia madre. Un suo collega di lavoro. Una persona molto gentile che mi salutava sempre quando andavo a trovare la mamma al lavoro. Era molto ben voluto e godeva del rispetto da parte dei suoi colleghi. Ai tempi lui era considerato invalido e lavorava ad orario ridotto, non 8, ma 6 ore al giorno.
Un’ altra, una donna. Lei era la zia di una mia compagna di scuola di vecchia data. Abitava in casa con la famiglia della mia amica. Ricordo che quando andavamo a casa sua a studiare – noi, un gruppo di ragazze molto diligenti nello studio – quando ci sedevamo a tavola e tiravamo fuori dalle cartelle libri e quaderni, la sua cara zietta, molto affezionata a tutte noi, prendeva posto anche lei, seduta sulla sedia, ma sulle ginocchia piegate a causa della sua altezza limitata e ci seguiva con interesse mentre facevamo i compiti.
Infatti è stata proprio una sua foto che ho visto questi giorni, tramite sua nipote – la mia vecchia amica con cui sono tuttora in contatto, nonostante gli anni che passano e la distanza geografica tra le nostre due sponde dell’Adriatico – che mi ha spinto a scrivere sulle persone affette dal nanismo.
Intanto alla sua zia, ho mandato i saluti tramite la mia amica.
Le loro tipiche caratteristiche fisiche – oltre all’altezza limitata – la fronte alta, la forma allargata e un po’ schiacciata del naso, le mandibole strette ecc, insomma, hanno sempre contraddistinto queste persone speciali che ognuno di noi potrebbe conoscere od aver incrociato nel proprio quotidiano. E per quanto riguarda il loro quoziente intellettivo, io posso dire che esso, non essendo naturalmente condizionato dalla sindrome in questione, è indipendente in ognuno di loro e, relativamente, ben sviluppato. Stessa cosa vale per i loro sentimenti, caratteri e temperamenti.
Spesso nei miei scritti ho trattato temi collegati proprio a quel lasso temporale – fine anni ’80, inizio anni ’90 – ed oltre, arrivando chiaramente fino a tematiche attuali, odierne. Temi che riguardano “la vita albanese”, l’uomo e la donna albanese, la società albanese su vari aspetti, soprattutto quelli socioculturali. Delle sue fasce più delicate, ho sostenuto l’Associazione Down Syndrome Albania, scrivendo diverse volte per essa. Quindi ho ritenuto necessario parlare anche di queste “piccole grandi persone”, proprio come parte integrante della società. Si parla spesso di loro? Non saprei in che misura si faccia questo.
Oggi, non vivendo più da tempo in Albania, mi sorgono spontanee alcune domande:
– Cosa riportano le statistiche sul numero di queste persone presenti in Albania?
– In Albania, loro sono per caso considerate parte delle categorie protette?
– Sono agevolate o supportate dallo Stato, visto che nella vita quotidiana fanno fatica ad avere accesso in diversi servizi a causa della loro limitata altezza?
– Ci sono associazioni albanesi in loro favore?
– Visto che è probabile che a causa di questo rallentato e limitato sviluppo fisico, loro siano spesso soggetto anche a problemi polmonari e di respirazione, quanto sono tutelati dal servizio sanitario nazionale albanese?
– Quali misure adotta lo Stato albanese per il miglioramento della loro qualità di vita?
Ecco, a questo ed altro, spero di avere a breve notizie da parte dei competenti albanesi nella questione sopraccitata.
E non è prettamente curiosità la mia. Non tende a costituire nemmeno un’inchiesta sociologica.
È un interesse umano ed un’attenzione dovuta ai loro confronti, da semplice cittadina. Nel caso preciso, da cittadina italo – albanese che, nonostante la lontananza dalla terra natia, continua a sentire la necessità ed il dovere di interessarsi sul “mondo albanese” a 360 gradi.
Semplicemente perché nella società tutti insieme, non solo si vive, ma anche si cresce bene.