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Una mini-me

Di Adela  Kolea  

I vostri figli non sono figli vostri.
Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di se stessa.
Essi non provengono da voi, ma attraverso di voi.
E sebbene stiano con voi, non vi appartengono.
Potete dar loro tutto il vostro amore, ma non i vostri pensieri.
Perché essi hanno i propri pensieri.
(Kahlil Gibran)

“Una mini-me”. Fin dove persiste il delineamento di un semplice appagamento genitoriale, considerato candidamente sotto questo aspetto – cioè, nel vestirsi uguale col proprio figlio – e, a partire da dove, questo limite si oltrepassa, tendendo ad avviarsi all’esagerazione?
Fin dove, il modo di dire che conosciamo noi albanesi: “Rendimi madre per far sì che io possa assomigliarti”, non si sofferma all’eredità, al gene, all’assomiglianza fisica o caratteriale e dove, esso esige di “allargarsi” fino all’assomiglianza nel rispettivo vestiario madre -figlia?

Oggigiorno, capita sempre più scorgere un fenomeno: quello del vestirsi in ugual modo genitore –figlio, ma soprattutto quello madre –figlia. Questo solitamente accade nei casi in cui le bambine hanno non più di cinque anni, in quanto più avanti con l’età – e questo cambia relativamente da bambina a bambina, a seconda della maturità e del temperamento – si denotano preferenze personali nel vestiario da parte della bambina, gusti personali e si evidenzia la sua propria individualità.
Per certi casi, prima arriva questa reazione individuale della bambina, meglio è, diventando occasione di dire: ”Finalmente …!”.

Affinché per le bambine piccole, questo si presenta come un gioco divertente, come una sorta di “aiuto” che la mamma offre alla propria bambina per il fatto che lei chissà quante volte ha provato ad indossare gli abiti della mamma, ha provato ad imitare la mamma camminando con le sue scarpe coi tacchi, i suoi accessori o usando i suoi trucchi – tutte lo abbiamo fatto da piccole – a quel punto abbiamo a che fare con una presentazione del fenomeno sopraccitato, in maniera semplicemente ricreativa.
E in questo modo ci imbattiamo in una sorta di insegnamento o di educazione nel vestire, di una guida al portamento del proprio figlio nel rapportarsi con l’ambiente che lo circonda partendo fin dalla tenera età, che ben vengano.

Occorre tener presente un dettaglio:
 il vestiario identico mamma-figlia, identico in modello, materiali o colori – differente solo nelle misure – non si trova facilmente sul mercato. Questo fa capire che l’impegno della mamma per la sua realizzazione è molto evidente e ricercato. E non è una cosa indifferente nemmeno per i costi, anche perché queste opportunità le offrono solamente i marchi più noti di case di moda ed abbigliamento, le quali per l’appunto, mettono a disposizione della propria clientela anche il format “baby” dei capi.

Ma, come in ogni contesto, anche qui sono gli eccessi quelli che costituiscono le differenze e che fanno sorgere diverse domande:
Fin quando l’uscita al pubblico da parte della mamma vestita uguale alla propria figlia si sofferma in una volta o due, essa si presenta come una cosa gradevole, e anzi, più ricercati sono i vestiti uguali, più noto è il marchio e la casa di abbigliamento, più cari i prezzi, perché no, più alto anche la pubblicità ed il marketing offerto alla casa di moda stessa da parte di queste “testimonial”.
Ma nel momento in cui, questa non rimane una cosa prettamente casuale, diventando una cosa ripetitiva e sistematica, a quel punto mi vengono degli scrupoli che mi infastidiscono un po’.

Il rispetto per l’autonomia nel scegliere, anche se si tratta solo per l’apparenza nel vestire da parte di un bambino, fin dove rimane illeso?
Spesso, si ragiona in modo analogo, anche nella decisione dei genitori di vestire uguale dei fratelli o sorelle gemelli omozigoti, quando loro potrebbero desiderare vestire uno diverso dall’altro, essendo delle personalità diverse, sotto un aspetto identico fisico, solo apparente.

“Quanto” questa scelta costituisce solo un desiderio ingenuo da parte di una madre e “quanto” essa si trasforma in un capriccio da parte sua, in un’ambizione per amplificare l’accensione dei proiettori dell’attenzione nei suoi propri confronti, sfruttando l’effetto che fa scaturire il vestire “elevato alla seconda”, in cui, ciò che fa la differenza e attira maggiormente l’attenzione e proprio il vestire formato “baby” della bimba?
“Quanto” questa cosa non influenzerà in seguito l’autostima della bambina, la sua tenacia nel scegliere da sola in maniera autonoma e nel farle prendere una decisione libera ed incondizionata?
“Quanto” si fanno suggestionare la fragilità o al contrario, la forza del libero pensiero di una bambina in un futuro?

Invece, per quanto riguarda la scelta di alcuni nomi inventati, bizzarri, derivati da un’imitazione scimmiesca – probabilmente per renderli simili a quelli di famiglie nobili, con cui non hanno proprio nulla a che fare nelle proprie origini, anzi … – di questo parleremo un’altra volta.
Ad ogni modo per il nome, il bambino non ha avuto spazio di scelta. Quel nome gli è stato assegnato e, almeno affinché non ha raggiunto l’età matura per poter decidere di cambiarlo o meno, se lo terrà. E fino ad allora quel nome, anche tra i più bizzarri, lo affiancherà.

E per il vestire?
“Quanto” quella bambina, crescendo – riguardando delle fotografie dell’infanzia ad esempio – considererà come un divertimento quella scelta della propria madre, di apparire diverse volte vestita uguale alla figlia fino ad una certa età di quest’ultima?
“Quanto”, una madre considera suo figlio come “proprio” – questo è indiscutibile da un certo punto di vista – ma, la cosa più importante, “quanto” lei rispetta l’individualità del bambino, il suo mondo complesso, sotto ogni aspetto?
“Quanto”, un genitore considera il proprio figlio come un suo clone?
“Quanto”, il conformismo e la moda vengono oggi, imposti anche nei confronti degli adulti, dei genitori stessi, condizionando le loro scelte alla volta?

Në shqip: Një “mini–unë”

 

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