in

Quella misteriosa coppia di vicini di casa anziani

Per mio stupore, quella coppia di anziani non era formata da una moglie ed un marito! Loro erano invece fratello e sorella!
Avevano passato tutta la loro gioventù, per oltre trent’anni in un campo di internamento comunista, per il fatto che più di trent’anni fa il loro fratello minore aveva oltrepassato il confine con la Jugoslavia, vi aveva subito chiesto asilo politico e si era trasferito immediatamente negli Stati Uniti, ottenendo  lo status di rifugiato politico!
Da lì, sarebbe iniziato il calvario di vita nelle prigioni comuniste per il fratello e la sorella rimasti a Tirana.
Loro infatti non si erano mai sposati ed avevano sofferto una vita intera in internamento tra baracche di legno, lamiere e paludi in un villaggio nel Sud Albania …

Di Adela  Kolea

Durante la dittatura al potere per mezzo secolo in Albania, con i principi della lotta delle classi, la parità sociale e l’abolizione della proprietà privata, ci si faceva credere di essere “tutti uguali”, o meglio di aver appiattito le differenze sociali tra le persone.
Questo, da un certo punto di vista, nonostante parzialmente – perché i privilegiati e la casta distaccata dalle masse sono sempre esistiti – era vero alla fine, per essere obiettivi.
Ad ogni modo, tempo scorrendo ed io, pian piano crescendo, ho iniziato a pensare che quei palazzi condominiali in cui vivevamo a Tirana durante la dittatura, quelli tutti uguali dell’edilizia popolare della grande azienda “Stato”, uguali sia per l’aspetto architettonico ed edile esteriore, che per quello interiore inerente all’arredamento standard degli appartamenti, con mobili, kilim tradizionali dell’artigianato locale oppure con tende e centrini uguali, contenessero invece una molteplicità di vite vissute, le quali solo in apparenza, sembravano simili l’una all’altra, ma che invece possedevano grandi diversità  nel proprio focolare.
Si acclamava una omologazione di stili di vita tra una famiglia e l’altra invece, solo con l’arrivo della democrazia, avremmo preso conoscenza della vera identità di un vicino o meglio:
 in un periodo di riserbo assoluto per la privacy altrui, in quanto approfondire sul personale di qualcuno più del dovuto avrebbe comportato gravi conseguenze sulla propria sorte, in silenzio ci si guardava in faccia e l’effetto che ne scaturiva era proprio il paradosso seguente:
mentre da un lato c’era un grande senso di rapporti confidenziali di vicinato – i quali spesso, degradavano addirittura in invadenza a seconda del carattere e della cultura delle persone – dall’altro canto, c’era anche molta riservatezza e rispetto per la privacy di colui che non dava confidenza e che per scelta, rimaneva distaccato dal resto del condominio.  Per quest’ultima categoria di persone, sebbene venisse considerata un po’ “la pecora nera” condominiale, per non dire “gli snob”, gli associali, alla fine c’era la consapevolezza – com’è giusto che sia quando l’invadenza no la fa più da padrona – “che avrebbe avuto senz’altro i suoi motivi per queste distanze con il resto dei vicini … “

Tirana, Albania, inizio anni ’90
Il paese agonizzante usciva dalla dittatura di mezzo secolo, i sistemi politici erano appena stati cambiati e la transizione lunga e dolorosa si avviava …
Nell’edificio condominiale in cui abitavo, era venuta da poco ad abitare una coppia di anziani. La donna era sulla sessantina e l’uomo sulla settantina.
Una ragazzina ai tempi, io li vedevo sempre insieme, mentre salivano e scendevano i gradini del palazzo, e se nel contempo, tutti gli altri condomini si dimostravano socievoli, approfittavano di quei momenti in cui ci si incrocia nei pianerottoli, per scambiare delle chiacchiere in compagnia, loro due taciturni, limitati soltanto ad un distaccato saluto di buongiorno o buonasera, in silenzio si chiudevano in casa.
Ribadisco, mi sembravano tanto strani, proprio perché i rapporti del buon vicinato per noi erano una cosa sacra. E questo loro distacco dal resto del condominio non lo legittimava nemmeno il fatto che loro fossero venuti ad abitare nel nostro palazzo solo da poco tempo e non avessero la confidenza consolidata come noi altri, perché tutti cercavano di metterli al loro agio. Ma loro invece non uscivano dal loro guscio…

In quei tempi, solitamente si bussava alla casa del vicino per chiedere un uovo, del sale, dello zucchero, dell’olio, magari dell’olio come quantità, quello pari ad  una tazzina da caffè oppure di un bicchierino di raki, tanto era il prestito, perché la gente non ne  possedeva per sé di viveri talmente così in abbondanza. Si chiedeva dal vicino anche una tazzina da caffè come misurino, contente dello yogurt bianco, il sufficiente che serviva da fermento per fare lo yogurt in casa, quando non esistevano le yogurtiere, ma si faceva tutto alla vecchia maniera, bollendo il latte ecc ….Il tutto, a seconda delle regole non scritte naturalmente, ma risapute:
solo ed esclusivamente in prestito! Nulla di regalato. Appena si entrava in possesso di quei viveri chiesti in prestito, nonostante in dosi minime, si portavano indietro dai vicini. A queste regole nessuno trasgrediva. La disciplina ferrea dittatoriale, forse anche in questi rapporti, in questi piccoli gesti, si rispecchiava alla fine…
In un’Albania che viveva una forte autarchia, i viveri venivano distribuiti in maniera programmata e misurata da ritirare con un apposito tesserino oppure coupon, in proporzione al componimento del nucleo familiare ed al numero delle persone per famiglia.

Ci si recava dal vicino di casa per guardare un film, cioè dall’unico che in condominio possedesse un televisore, ci si recava dal vicino per fare una telefonata, sempre dall’unico che possedesse un telefono in casa e così via, ci si recava dal vicino per portare un pezzo di carne o un pollo da conservare in frigo, accompagnato da un bigliettino con il proprio nome attaccato nel pacchettino, perché era l’unico nel condominio a possedere un frigorifero e tutti portavano qualcosa da porre nel suo frigo, come se fosse un frigo comune.
Insomma si interagiva, si collaborava e ci si intratteneva molto tra di noi, proprio perché in una fase per l’Albania come quella della dittatura e della cosiddetta parità sociale, c’era più affiatamento tra le persone.  
Insomma, questa era un po’ anche la “legge condominiale”, parte integrante di quel meccanismo più complesso quale legge generale etica della condotta dei cittadini.

La curiosità sul mistero del ritegno di quei vicini, nel mio caso, veniva amplificata ancora di più da un altro fattore:
loro, non solo non frequentavano gli altri vicini anzi, evitavano qualsiasi contatto con la gente, erano schivi, ma erano anche soli nel vero senso della parola. Nessun figlio, nipote o parente che li venisse mai a trovare!
Questo costituiva un altro paradosso, in un contesto sociale dell’Albania di quel periodo, in cui le famiglie stesse erano molto legate. I nuclei familiari, anche quelli allargati, vivevano nella stessa casa, sotto lo stesso tetto, anche con più figli sposati e gli suoceri compresi oppure, in rari casi come quelli di genitori che vivevano in case separate, i figli erano comunque presenti, andando a trovare loro frequentemente.
La mia curiosità da adolescente, nel caso della solitudine della coppia degli anziani vicini, aumentava perché se da “investigatrice” innata, escludevo l’esistenza di figli per loro, mi sembrava strano per giunta, che nessun parente si facesse vivo e bussasse alla loro porta. Solitari, loro due vivevano la quotidianità, estraniati dal mondo …

Quelle poche volte che di sfuggita li avevo sentiti parlare con mia madre nel pianerottolo, mi era rimasto impresso il termine che pronunciavano più spesso: “Tribunale!”
Mia madre, riservata anche lei, figuriamoci se ad una ragazzina come me ai tempi, confidasse i segreti dei vicini anziani e misteriosi per eccezione!
Da quel giorno che li sentii parlare con mia madre stranamente, il mio stupore accrebbe, in quanto per l’ennesima volta sentii pronunciare dalla loro bocca il termine ”Tribunale”
Ergo, la parola “Tribunale”in qualsiasi contesto suscita tensione ed ansia, in quanto si presume che la persona che ne sta parlando, abbia problemi con la giustizia o ad ogni modo, con la legge, per cause più o meno importanti, civili o penali.
Immaginiamo il periodo della transizione che l’Albania stava trascorrendo – inizio anni ’90 – in cui, la pronuncia del termine “Tribunale” incuteva maggiore paura anzi, del terrore.
Ed a me, solo l’idea che quella coppia di anziani soli ed indifesi avessero a che fare con guai giudiziari, mi faceva soffrire per loro, sebbene non conoscessi le ragioni.
Mentre buona parte dei vicini li considerava freddi e addirittura antipatici per il distacco che loro tenevano nei riguardi del vicinato, a me non so perché, facevano tenerezza. Non posso negare che la mia curiosità nel sapere qualche dettaglio in più della loro vita, andasse in proporzione diretta con la loro discrezione.
Tant’è vero che, vedendoli un po’ smarriti ed essendo che vivevano nel nostro condominio da poco, nella mia testa avevo creato la convinzione che loro non conoscessero nemmeno la nostra città Tirana, presumendo venissero da fuori città, per cui un bel giorno, quando li avevo incrociati nel pianerottolo, mi ero addirittura resa disponibile a far loro da guida per la città!
Ma loro, gentili come sempre, con poche parole concise mi avevano risposto ringraziandomi in primis per la mia disponibilità, che Tirana la conoscessero perfino troppo bene!
Per un’ulteriore volta mi avevano lasciata spiazzata!
 Ma come era possibile che loro conoscessero così bene Tirana? Non avevo sentito casualmente che si erano appena trasferiti da un villaggio sperduto del Sud Albania? Oppure avevo sentito male?
Insomma, mi avevano turbata talmente tanto con la loro condotta ed il loro cupo atteggiamento – sempre e comunque, impenetrabili ai nostri occhi curiosi –  che non sapevo più distinguere ciò che avevo sentito oppure no sul loro conto, ciò che eventualmente potesse essere vero e ciò che invece la mia testa elaborasse come frutto di fantasia … 

Conferme su  verità a lungo celate

Passando solo qualche mese, venni a sapere tutto e tutti i nodi sui miei dubbi od insinuazioni su di loro, si sciolsero …
– Sì, avevo sentito bene: loro erano stati trasferiti a Tirana da un villaggio sperduto del Sud Albania, in cui era stato allestito uno dei più tremendi campi di internamento del comunismo.
– Sì, avevano ragione: Tirana la conoscevano persino troppo bene, esattamente  come mi avevano affermato, in quanto loro erano proprio originari di Tirana. A Tirana si trovava la loro bella casa, una villetta in proprio, non come il nostro palazzo comunale, una casa da cui loro erano stati prelevati più di trent’anni fa per poi essere deportati nel campo dell’internamento, dove avrebbe iniziato il calvario della loro vita.
– Sì, la parola “Tribunale”, pronunciata di frequente da loro quando parlavano sottovoce con mia madre, l’avevo sentita giusto. Al Tribunale, tra il 1990 ed il 1991, con il cambio dei sistemi, loro ci andavano molto spesso perché avevano naturalmente fatto causa per ottenere indietro la loro vecchia casa, di loro proprietà, la quale era stata occupata da degli sconosciuti, i quali se n’erano ingiustamente impossessati quando i veri proprietari pativano le pene dell’inferno  nei campi di internamento e non c’era verso per riconsegnarla a quei legittimi proprietari, ex-internati e vittime del regime totalitario.
– No! Per mio stupore, quella coppia di anziani non era formata da una moglie ed un marito! Loro erano invece fratello e sorella!
Avevano passato tutta la loro gioventù, per oltre trent’anni in un campo di internamento comunista, per il fatto che più di trent’anni fa il loro fratello minore aveva oltrepassato il confine con la Jugoslavia, vi aveva subito chiesto asilo politico e si era trasferito immediatamente negli Stati Uniti, ottenendo  lo status di rifugiato politico!
Da lì, sarebbe iniziato il calvario di vita nelle prigioni comuniste per il fratello e la sorella rimasti a Tirana.
Loro infatti non si erano mai sposati ed avevano sofferto una vita intera in seguito in internamento, tra baracche di legno, lamiere e paludi in un villaggio nel Sud Albania …

Solo con l’arrivo della democrazia – inizio anni ’90 – avevano finalmente lasciato il campo di internamento, in cui avevano sofferto tutta vita per essere fratelli di un evaso dalla “prigione Albania” e diventato rifugiato politico negli Stati Uniti! E a che prezzo!
Li avevano fatti arrivare a Tirana, nella loro città e nel frattempo che seguivano le sedute giudiziarie infinite  al Tribunale per l’ottenimento della loro casa di proprietà usurpata da altri – casa di cui non disponevano più nemmeno un documento di proprietà, perché gli sciacalli che se ne erano impossessati avevano fatto sparire oppure falsificato tutto – li avevano proposto questo piccolo monolocale in affitto nel nostro condominio! Solo provvisoriamente!- li era stato detto, ma temevo che quel “provvisoriamente” sarebbe stato un limite temporale molto lungo invece …

La prima volta che li vidi sorridere e forse, un po’ più propensi  a fermarsi con gli altri vicini a salutarsi ed a scambiare due parole, fu quando carichi di valigie, li notai scendere le scale del condominio. Li avevo pure dato una mano a portare giù i bagagli.
Un taxi li attendeva fuori, nella piazzola antistante il condominio. La prima domanda che mi venne spontaneo porre loro, fu:
“Traslocate, signori? Avete finalmente ottenuto indietro la vostra vecchia ed amata casa?”
Con un mezzo sorriso, ricordo come ora l’espressione stanca dei loro volti, mi risposero:
 “No, cara. Purtroppo la strada per l’ottenimento del diritto sulla nostra casa di proprietà è ancora lunga e ci vedrà ancora per un po’ dietro i banchi del Tribunale, invece,  la strada che stiamo per fare oggi è molto lunga anche essa, ma per noi, significa “Vita nuova”. Andiamo all’aeroporto, stiamo per partire per gli Stati Uniti d’America, andiamo a trovare il nostro caro fratello, fuggito dall’Albania più di trent’anni fa!”
Mi vennero i brividi.
Nei loro occhi c’era un misto di commozione per il ricongiungimento con il fratello dopo una separazione lunga una vita, dopo un calvario di vita trascorso in un campo mostruoso albanese comunista di internamento, pagando loro sulla propria pelle per la sua fuga, c’era dolore e stanchezza per le sofferenze subite, per il fatto che un’intera parentela per paura di subire le conseguenze, li aveva abbandonati, per la casa che avevano perso, per la gioventù persa soprattutto, ma ad ogni modo, l’amore fraterno prevaleva su tutto!
E solo l’idea della libertà a cui stavano per assistere, gli dava forza per andare avanti.
Augurai loro buon viaggio, con la promessa che un giorno – non sapevo nemmeno io quando con esattezza – su di loro avrei scritto.
Dico questo perché, non li vidi mai più, in quanto in quell’anno confuso di inizio transizione per l’Albania, loro partirono ergo, per gli Stati Uniti ed io e la mia famiglia, intraprendemmo l’altra strada di emigrazione, l’Italia.
Migliaia di albanesi emigrarono.  Tra l’entrata da parte loro nelle ambasciate straniere accreditate in Albania  e l’assalto ai porti, l’esodo albanese sembrava un vulcano in eruzione …   

Ecco perché sottolineavo all’inizio, che quelle nostre palazzine, apparentemente uguali e serene dall’esterno, al loro interno contenevano molteplici realtà, anche tra le più inaspettate.
E con l’inizio della transizione, il mio palazzo, mi sembro come uno scrigno magico, colmo di verità mai dette e celate, che si svuotava pian piano. Si liberava dal peso di alcuni suoi misteri e si alleggeriva anche del peso della sua gente che emigrava all’estero.
Mi sembrava uno scrigno di curiosità il mio palazzo, o meglio:
il vaso di Pandora appena scoperchiato.
E quanti palazzi come quello esistevano in città ed in tutta l’Albania!
Quanti contenuti di vasi di Pandora da lì, avrebbero scosso le vite di tanti albanesi.

 

 

 

Adrian Paci alla 10° edizione dello Schermo dell’arte Film Festival di Firenze

Albania e Grecia: Himara, immobili di minoranza