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Tanto rumore per qualcosa?

Il caso di Frroku fa più clamore, trattandosi di un legislatore sotto processo penale in un paese UE. Si spera che il suo rumore risvegli le dormienti procure albanesi e le inculca zelo aggiuntivo nel fare il proprio lavoro di setacciare gli altri possibili Frroku, per dimostrare che anche il sistema di giustizia albanese stia imboccando con forza la volontà di normalizzarsi ed essere forte con “i forti” sotto spoglie politiche.
Di Gjergji KAJANA

A giudicarle un mese dopo, le bombastiche rivelazioni di Doshi e l’inclusione in esse del latitante in Belgio Frroku non si stanno rivelando inutili. Esse accentuano i riflettori sull’esistenza di un mondo paracriminale proprio nel Parlamento, quantitativamente la più massiccia stanza dei bottoni d’Albania. Sappiamo già dagli inizi della nostra storia postcomunista che le porte girevoli della politica albanese espellono in maggioranza dalla gestione della cosa pubblica più gli incompetenti e gli onesti invece delle loro disoneste controfigure. L’avventurosa vicenda di Mark Frroku, il comprimario dello scandalo Doshi e accusato di complicità nell’assassinio di un connazionale a Bruxelles, ci fa venire i brividi perché offre forti indizi giudiziari sulla constatazione pubblica che l’origine materiale del potere in Albania, paese candidato di entrare nell’UE, è tante volte semplicemente criminale.

L’imputato Frroku tra i personaggi cinematografici  albanesi potrebbe essere alla larga Keno, un tutore di prostitute a Salonicco magistralmente interpretato da Xhevdet Jashari nel film di Robert Budina “Agon”. Fino a una sentenza definitiva sul  processo nel quale lui è accusato di assassinio in Belgio vale per lui la presunzione di innocenza. Socialmente lui rappresenta il giovane albanese degli anni ’90 emigrato clandestino all’estero in cerca di fortuna, tradottasi in “make money” in tutti i modi con i quali aprire dei business in patria e tentare la scalata sociale, cosa riuscitagli perfettamente fino all’incriminazione pubblica di due procure, quella di Bruxelles e quella di Tirana. Quasi sicuramente non godrà più dell’immunità parlamentare almeno fino al termine di questa legislatura. È una storia politica troncata sul nascere da un tintinnio di manette che sveglia col suo forte rumore anche morale l’infelice Albania autoabituata ad un masochistico conformismo fatalista e omertoso di fronte al fatto che la cosa pubblica si trovi in tanti casi in mani improprie. Il processo penale in Belgio contro Frroku risale al 2004 e una plausibile logica porterebbe a ritenere che l’imputato è entrato nella politica albanese per avvalersi dello scudo protettivo dell’immunità parlamentare, scudo ormai a terra e imprendibile. La sua breve comparsa come leader di un partito e deputato ha costituito un disonore per lui come persona e per la politica albanese in quanto istituzione rifugio di latitanti penali.

Un paese di TV private moderne e club alla moda scintillanti di Tirana e di contadini che arano i campi pochi km più in là, di BMW e Ferrari che sfilano vicino a trattori e carri di buoi e cavalli, di ristoranti chic circondati da mendicanti, l’Albania è anche un paese con alto sviluppo di micro e macrocriminalità. Il caso Frroku non è isolato da quelli recenti di politici di non basso livello come Fatmir Kajolli e Almir Rrapo, il primo politico del partito di Mediu e condannato dalle corti di Roma e Milano e il secondo estradato negli USA con l’accusa di essere stato membro di un network di gestori della prostituzione dopo essere stato arrestato mentre lavorava nel Ministero degli Esteri. Il PD ha denunciato in Parlamento trascorsi criminali di parlamentari della maggioranza di Rama e Meta, ma in una recentissima protesta antigovernativa a Valona si fa salutare da un personaggio ex-collaboratore di noti malfattori. Però il caso di Frroku fa più clamore, trattandosi di un legislatore sotto processo penale in un paese UE. Si spera che il suo rumore risvegli le dormienti procure albanesi e le inculca zelo aggiuntivo nel fare il proprio lavoro di setacciare gli altri possibili Frroku, Kajolli e Rrapo per dimostrare che anche il sistema di giustizia albanese stia imboccando con forza la volontà di normalizzarsi ed essere forte con “i forti” sotto spoglie politiche.

Gli accadimenti intorno al caso Frroku indicano che il rumore potrebbe non durare i fatidici tre giorni, come di solito è spesso comune in Albania. Le dimissioni del massimo dirigente della Polizia, Didi, dopo l’omessa denuncia alla Procura del fascicolo belga su Frroku da Interpol Tirana (una incompetenza criminale) testimoniano un alto grado di responsabilità morale, inusuale per i direttori delle istituzioni statali albanesi. Sotto l’attacco pubblico (ma sterile, perché ripetitivo e incapace di allargare l’uditorio oltre i militanti fanatici del partito) del PD, Rama e Meta potrebbero trovarsi presto sotto quello morale della maggioranza silenziosa degli albanesi che diserterebbero le urne amministrative se la coalizione della “Rinascita” non fa pulizie ulteriori al suo interno. Non è normale che, dopo aver preso l’impegno di agire sulla decriminalizzazione della vita pubblica albanese, la maggioranza governativa non ha una proposta programmatica in quest’ambito. Nelle prossime urne amministrative molti albanesi delusi dalla politica potrebbere essere tentati di scrivere sulla scheda elettorale il nome di un ente internazionale non politico: “Interpol”.

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