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Uno schiaffo al berishismo

Berisha aveva lanciato l’anno elettorale affermando di fronte ai suoi devoti discepoli che nelle elezioni “i pezzenti” dell’opposizione sarebbero finiti nel Lana, il fiume della capitale, mentre l’inafferrabile PD andava avanti. Definì la coalizione Rama-Meta “l’alleanza delle anguille”. Gli albanesi, che guardano per il loro futuro oltre al ponte sul fiume dove il premier vedeva queste anguille, alle urne si sono cucinati il suo potere. Adesso, superata la fase del berishismo al potere, l’Albania può guardare con fiducia verso un futuro all’interno delle democrazie europee

Di Gjergj Kajana, Roma

Quando la storia dell’Albania verrà scritta in modo obbiettivo, sicuramente, per semplificarne la periodizzazione, il periodo che va dalla rivolta anticomunista del 1990 fino alle ultime elezioni verrà denominato come il periodo dell’Albania berishiana. Ovviamente l’uomo forte del Nord non è stato l’unico protagonista della scena albanese in questi 22 anni e mezzo ma è stato al potere per 13 lunghi anni ed ha influito come nessun’altro protagonista sugli orientamenti politico-sociali del paese.

Il 23 giugno i suoi concittadini gli hanno dato il benservito dal potere, sfiduciandolo massicciamente nelle urne dopo che un grigio giorno d’inverno di due anni e mezzo fa aveva pensato di sottometterli al regno della paura facendo sparare sulla protesta dell’opposizione contro la sua autocrazia e uccidendo 4 innocenti. Da quel massacro vergognoso non si sono più avute massicce proteste anti governative contro l’uomo forte Berisha in Albania. Con un linguaggio degno del miglior discepolo del nazismo, imparato nella grande scuola oratoria del premier, solo un anno dopo il massacro una deputata del partito del premier uscente minacciava in un dibattito TV un suo collega d’opposizione che lui sarebbe finito appeso sugli alberi di fronte alla residenza del premier se gli oppositori si fossero riuniti di nuovo in protesta contro il potere berishiano. Sicuramente tutti gli albanesi hanno saputo di queste macabre locuzioni. Solo pochi mesi prima di questo voto la giustizia albanese, totalmente asservita ai desiderata del despota, assolveva gli esecutori materiali del massacro del 21 Gennaio. In silenzio gli albanesi hanno assorbito la loro rabbia e l’hanno riversata nel voto, che sancisce il secondo pensionamento di Berisha e della sua poco raccomandabile banda dal potere. Qualche analista politico già parla della fine della transizione albanese e l’entrata di Tirana nello stato democratico di diritto, quello stato che Berisha ha voluto far morire in culla già all’epoca del suo disastroso primo mandato di governo di governo nel ’92-’97.

Sicuramente, la discesa di Sali dal potere è un evento da segnare in maiuscolo nel calendario dei fatti storici.

Che cosa è stato il berishismo nella storia dell’Albania? La codificazione e l’innalzamento alla dignità di guida politica di un paese del dilettantismo e della mediocrità politica, con chiari elementi di un regime autoritario e liberticida insofferente da controlli e critiche indipendenti e promotore di un euroatlantismo di facciata in politica estera. Sullo sfondo del sistema berishiano corruzione galoppante tollerata dal suo potere giudiziario non libero, elezioni truccate, lotta senza tregua all’indipendenza delle istituzioni e alla libertà d’espressione, attacchi violenti in tutti i meandri dialettici del turpiloquio agli avversari politici, un populismo sfrenato e fine a se stesso. E anche tanto sangue. Partendo dalle violenze del 1997, passando per la rivolta contro Nano nel settembre 1998 e fino ai fatti di Gerdec e al 21 Gennaio 2011 il mantenimento di Berisha al potere è costato all’Albania centinaia di vite spezzate sulle quali il sistema giudiziario albanese non è riuscito a fare giustizia in sede penale.

Alla base dell’entrata di Berisha nei saloni del potere albanese un grandissimo equivoco: il suo presunto anticomunismo. Sali è stato votato massicciamente dagli albanesi nel ’92 e sostenuto allora a chiare lettere da Ëashington come il leader di un partito anticomunista nel più stalinista e povero paese dell’Est.

Ma, come ci ricorda il coraggioso giornalista Ernest Bunguri, lui, membro del partito dei comunisti, stava alla rivolta anticomunista degli studenti nel 1990 come l’uomo che, affacciatosi al balcone, vede la gente in strada protestare e vuole esserne il loro leader. Il suo servitore li chiede per che cosa si protesta e il Sali di turno risponde: “Non lo so, ma io devo essere alla loro guida”. Berisha è riuscito a inserirsi nel Partito Democratico alla sua nascita nel 1990. Questo ha costituito la più grande fortuna politica della sua vita ed è stato una fonte di disgrazie e dolori per l’Albania negli anni a venire. Formatosi nell’alveo del comunismo, l’intellettuale Berisha ha sempre governato senza freni cacciando dal partito tutti i dissidenti interni e circondandosi di “pupazzi senza personalità”, come ebbe una volta a definire l’ex-premier Nano gli alleati politici del PD. Il suo partito è un gruppo senza democrazia interna, con i membri del Consiglio nazionale ridotti ad ascoltare ogni lunedì in riunioni monotematiche le parole del Grande Leader, in maggior parte rivolte in un surreale dialogo tra sordi all’opposizione. Tecnicamente in stretto senso è difficile definire come politici Berisha e il suo entourage poiché loro trasformano quasi ogni uscita pubblica in un comizio dove si parla di grandi successi raggiunti dal governo democratico da loro guidato e del ruolo dannoso che l’opposizione dei “cani che abbaiano ma non mordono” svolgono contro i cittadini del loro paese.

Purtroppo questo sistema inaugurato da Berisha e seguito con masochistica naturalezza dai suoi discepoli politici e mediatici non è stato una cometa di passaggio ma la normalità del “Paese delle Aquile” per 20 anni, contagiando anche l’opposizione e impedendo tavoli di dialogo incentrate sull’implementazione tecnica delle riforme per far uscire il paese dal pantano dell’arretratezza.

Il berishismo lascia in eredità un inaridimento nichilistico del discorso politico albanese, stato politico che in parte l’opposizione vincitrice tre giorni fa ha sorpassato con il messaggio per la “Rinascita” del paese. Berisha aveva lanciato l’anno elettorale affermando di fronte ai suoi devoti discepoli che nelle elezioni “i pezzenti” dell’opposizione sarebbero finiti nel Lana, il fiume della capitale, mentre l’inafferrabile PD andava avanti. Definì la coalizione Rama-Meta “l’alleanza delle anguille”. Gli albanesi, che guardano per il loro futuro oltre al ponte sul fiume dove il premier vedeva queste anguille, alle urne si sono cucinati il suo potere.

Solo adesso, superata la fase del berishismo al potere (e incrociando le dita perché la nuova opposizione si dia un contegno democratico possibilmente senza il suo affondatore alla guida), l’Albania può guardare con fiducia verso un futuro all’interno delle democrazie europee. Prima, con un tal sistema corrotto installato nella stanza dei bottoni, era proprio impossibile.

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