Di Adela Kolea
Un giorno, mentre visitavo youtube per cercare un video che mi interessava, la ricerca mi fece casualmente apparire uno spezzone dal film “L’oro di Napoli”. È un film a episodi, in bianco e nero, con protagonista Sofia Loren, girato nel 1954.
Ma, qualcosa mi attrasse e mi fece fermare per un attimo sul video – non sempre e non a tutti piace guardare dei vecchi film, in bianco e nero e dalla trama relativamente attuale o meno – dall’impressione familiare!
Certo, con ‘familiare’ non intendo dire che di quel film, c’era qualcuno nello staff degli attori ed operatori con cui avevo qualche legame familiare, eppure …
Il film era girato a Napoli, la città natale di mia nonna. Ma per di più, la scena traeva proprio la protagonista, Sofia, la pizzaiola, la quale gestiva una pizzeria da asporto assieme a suo marito. La specialità che preparavano era la pizza fritta! Insomma, feci un salto indietro nel tempo, e la memoria mi portò nella mia infanzia, a Tirana, in Albania quando la nonna ci preparava proprio la pizza fritta ed un’altra specialità napoletana, i calzoni fritti.
A Tirana, in tutto il vicinato si veniva a sapere che “l’italiana quel giorno preparava i calzoni fritti!”
Anche perché, della cucina albanese non ne facevano parte. Diciamo che i prodotti gastronomici albanesi, con tutta la loro bontà, prendendo un po’ di sapori e ricette di tutti i Balcani, sia per il dolce che per il salato, avrebbero potuto contenere nella loro gamma qualcosa di simile come le “pite”, specialità che ha per base l’impasto di farina, acqua, sale e lievito – per non parlare dei prodotti a pasta a sfoglia e del famoso “byrek”, dai vari ripieni – ma, i calzoni fritti che la nonna preparava e di cui ricetta, custodiva fanaticamente, erano qualcosa di diverso!
Si impegnava a prepararli con amore e, una volta che intraprendeva quell’impresa, di impasto ne preparava proprio in grande quantità. Questo, non perché noi eravamo una famiglia numerosa, figuriamoci, io sono figlia unica, ma perché lei aveva piacere di distribuirli un po’ a tutti, perché sapeva quanto venivano gustati ed apprezzati!
Una volta che l’impasto aveva terminato il tempo di posa ed era lievitato a dovere, erano pronti ad essere riempiti con il ripieno che aveva preparato da parte. Per questo ripieno usava chiaramente i prodotti locali e non solo: ciò che la situazione carente economica in generale permetteva. Ad esempio, non avevamo la mozzarella ed usava il formaggio “kaçkavall” , in quanto riteneva che a confronto dell’altro tipo di formaggio, quello bianco, simile alla “feta greca”, il “kaçkavall” nel sapore, era più simile alla provola. Al posto del prosciutto cotto, si adoperava il salume, cotto anch’esso, specialità nostra locale, tagliato a dadini, i pomodori, quelli sì che erano freschi e saporiti ed ecco i calzoni pronti: immersi poi nell’olio bollente, venivano fritti!
Io da un lato, mi lamentavo un po’, per l’odore del fritto che si diffondeva in casa, ma dall’altra parte, finivo di brontolare appena assaggiavo quella bontà! Sarà anche che, qualsiasi cosa preparassero le nostre nonne, a noi risultava una meraviglia. Ma l’effetto di questa specialità, che diciamo, non era solito incontrarla ovunque, né in quei chioschi in cui le famose “pite” facevano da padrone come cibo di strada, né come alimento domestico, preparato dalle donne albanesi.
Il ripieno, oltre a quello di pomodoro, formaggio e cotto, a volte, lo preferivamo anche con la carne tritata, quando quest’ultima ce la potevamo permettere. E lei, instancabile, pensava a tutto. Stesso amore poi ci metteva anche per la preparazione della pizza.
Oggi è chiaro che noi, “da grandi”, abbiamo imparato a preparare da soli queste specialità ed altro e soprattutto, vivendo in Italia, nella patria della pizza, abbiamo modo di assaporare queste specialità preparate da mani esperte e portatrici delle sane e belle tradizioni culinarie, napoletane e di tutta l’Italia. L’unico augurio è che, in questi tempi di crisi, gli ingredienti delle prelibatezze siano totalmente italiani!
In Albania stesso, oggi il mercato gastronomico offre molto, forse troppo. In quanto, si è effettuata una miscela di ricette, culture culinarie e di prodotti, dai vari sapori, cosa che ha portato spesso anche alla perdita dell’autenticità di alcuni prodotti e contemporaneamente, all’invenzione di altri nuovi, alcuni anche dalle nominazioni totalmente nuove. Ad ogni modo, quando l’innovazione arriva ben motivata, è un bene per tutti. A questo proposito, bisogna lodare i passi da gigante che hanno fatto le categorie dei cuochi, pasticcieri e di tutti i chef della cucina albanesi, che si stanno facendo notare dappertutto, anche all’estero.
Così come gli italiani hanno portato la pizza in tutto il mondo, la pizza è arrivata anche in Albania, per il piacere degli albanesi e quello dei tanti italiani che attualmente in Albania ci vivono. Allo stesso tempo, gli albanesi hanno portato la loro cucina, con i loro chef, nel mondo.
Anzi, i calzoni fritti del L’Oro di Napoli”, in Albania sotto – sotto, c’erano da molti, ma molti anni. Da quando in Albania arrivarono i primi italiani, di cui, una parte dopo un po’ di tempo, fece ritorno in Italia, ma un’altra parte, anche se minore, ritorno nel Belpaese non ne fece mai.
Francesco Petrarca nel “Canzoniere” definì l’Italia: «Il bel paese ch’Appennin parte, e ‘l mar circonda et l’Alpe», che tradotto nel linguaggio attuale diventa «Il bel paese che l’Appennino divide, e le Alpi e i mari circondano». Un mare, quello Adriatico, che unisce e che, contemporaneamente divide, è stato quello che almeno per mezzo secolo ha unito e diviso l’Albania e l’Italia, non perché la natura è stata in certi periodi capricciosa e ribelle. Ma perché spietati nei confronti di questo mare e di tutto ciò che l’attraversamento di quello spazio di acqua avrebbe significato per gli albanesi, lo sono stati alcuni che in Albania, si sono permessi certi “poteri soprannaturali”, da andare contro ogni norma di umanità e civiltà.