Da poche settimane è iniziato il Processo d’Appello per l’affondamento da parte della nave militare italiana “Sibilla”, dell’imbarcazione carica di profughi albanesi, al largo di Otranto; processo iniziato nel Tribunale di Brindisi, tribunale che ha visto chiudere il 1° grado di giudizio, nel 2005, con una salomonica sentenza, all’italiana, che divideva le responsabilità fra i due comandanti, allontanando così la verità processuale dai fatti denunciati dai superstiti.
Oggi un momento di riflessione mi sembra più che opportuno, direi civile, non solo per quella tragedia, ma anche per le numerose altre che si sono succedute nel Canale di Sicilia.
In passato, abbiamo denunciato, anche dalle pagine di Bota Shqiptare, l’ipocrita atteggiamento dell’Italia ufficiale e di politicanti di tutte le risme, atteggiamento che è stato caratterizzato dal tacitare, distogliere l’attenzione dalle gravissime responsabilità, pianificare l’inganno dell’indennizzo extragiudiziale e dopo la beffa di intendere questo indennizzo come soluzione delle liti, infine far dimenticare.
La realtà odierna, come scrivevo recentemente e come sappiamo, è caratterizzata dalla rimozione dalla coscienza civile di questa terribile strage della quale non si ricorda quasi più nessuno e soprattutto nessuno parla, il che stride assai con l’asserita necessità di conservare la ‘memoria storica’, parola d’ordine tra le più gettonate, ma che puntualmente si conferma come pura retorica. Anche oggi, infatti , persiste quella che in passato definivo una vera e propria congiura del silenzio da parte della stampa nazionale e questa mancanza di interesse non aiuta certamente la ricerca della verità.
La requisitoria del Procuratore Vignola ha nuovamente ribadito che l’imbarcazione albanese ha fatto una manovra suicida portandosi sotto la prua della Sibilla; è stato sottolineato che il comandante Laudadio non ha fatto altro che rispettare le regole d’ingaggio e non ha mai eseguito la manovra del cavo (quella per bloccare le eliche della Qatër , manovra che sarebbe entrata in vigore solo il giorno successivo al naufragio). Per sostenere ciò sono state tacciate di inattendibilità le testimonianze degli albanesi, è stato detto che la consulenza tecnica disposta dal P.M. e realizzata dal Proff. Krauss non è corretta perché non ha tenuto in considerazione la versione fornita dalla Marina.
Se queste sono le amare premesse reiterate nel dibattimento, con la prossima udienza fissata il 21 dicembre 2010, le eventuali repliche e l’arringa di un avvocato dello Stato, se la tempistica dell’udienza lo permetterà, il Collegio potrà riunirsi in camera di Consiglio per la decisione e sarà pronunciata la sentenza. Se non ci saranno novità eclatanti, un altro capitolo mestamente si chiuderà.
Ad oggi l’unica novità che merita di essere citata, è che nel processo d’Appello è impegnata anche la figlia del compianto Avv. Giuseppe A. M.. Baffa, Avv. Maria Vittoria, la quale così continua idealmente la nobile opera iniziata dal padre, medaglia d’oro al Valor Civile della Repubblica d’Albania, tragicamente scomparso lungo la strada per giungere nel Tribunale di Brindisi per la prima udienza del processo iniziato dieci anni addietro.
Giuseppe Chimisso
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Na ishte njëherë një kaike në det…