Per lo scrittore bisognerebbe insegnare ai nuovi arrivati a “usare correttamente il Tu e il Lei”. Altrimenti continueranno a “qualificarsi subito come linguisticamente e culturalmente limitati”
Roma, 21 settembre 2015 – Basta con l’”invadenza del Tu”. Torniamo a darci del Lei. E insegniamolo anche agli immigrati.
È la battaglia per le buone maniere lanciata da Umberto Eco al recente Festival della Comunicazione di Camogli. Combattuta già a partire dal titolo della lectio magistralis preparata per l’occasione, “Tu, Lei, la memoria e l’insulto”, spiegando come la perdita dell’uso del Lei in Italia sia una deriva volgare e un tradimento della nostra cultura.
Nella lezione (testo integrale), Eco parla anche degli immigrati, sostenendo che “essi usano il Tu con tutti, anche quando se la cavano abbastanza con l’italiano senza usare i verbi all’infinito. E dunque vedete come questi usi linguistici abbiano a che fare con la scuola, con la conoscenza degli usi e costumi del passato e con la educazione alla comprensione delle differenze culturali tra paese d’origine e paese d’arrivo”.
“Nessuno si prende cura degli extracomunitari appena arrivati – denuncia lo scrittore – per insegnare loro a usare correttamente il Tu e il Lei, anche se usando indistintamente il Tu essi si qualificano subito come linguisticamente e culturalmente limitati, impongono a noi di trattarli egualmente con il Tu (difficile dire Ella a un nero che tenta di venderti un parapioggia) evocando il ricordo del terribile “zi badrone”. Ecco come pertanto i pronomi d’allocuzione hanno a che fare con l’apprendimento e la memoria culturale”.
“Ho conosciuto solo un africano – scherza alla fine Eco – che vendeva accendini in via Meravigli e si rivolgeva al cliente in buon milanese, concludendo che bisognava stare attento a tanti brütt terùn. Ma era una rara avis”.