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Quei naufragi riguardano anche il nostro futuro

Di Marco Pacciotti

 

Altre morti in mare, centinaia di persone. Un lutto che ci riporta alla mente quello del 3 ottobre 2013 quando 368 persone morirono in un altro naufragio. Uomini, donne e bambini le cui morti hanno insegnato poco o niente alla UE.

Da allora qualcosa è stato fatto, soprattutto su iniziativa dell’Italia con la missione Mare Nostrum prima e poi con la trasformazione di Triton in missione di salvataggio e non più di solo pattugliamento come era nata. Così è stato possibile che centinaia di migliaia di persone siano state recuperate nel Mediterraneo.

Un grande sforzo apprezzabile, ma evidentemente insufficiente. Migliaia di persone continuano a morire nelle traversate e anche di più forse nelle lunghe traversate via terra, dove violenze e abusi sono la normalità e la morte è una costante. Occorre fare di più e diversamente.

Dobbiamo essere consapevoli che questi naufragi riguardano noi e il nostro futuro e che girarsi dall’altra parte è immorale e anche stupido. Dobbiamo ribadire che nessuno Stato da solo può farcela e pensare di farlo non coinvolgendo le istituzioni internazionali e le nazioni africane è velleitario.

Fa bene il governo italiano a sostenere questo approccio in tutte le sedi possibili. Il fenomeno è planetario e determinato da concause molto diverse fra loro ma che determinano come unica opzione di sopravvivenza la fuga. Cosi oltre 60 milioni di persone fuggono oggi da guerre, persecuzioni e mutamenti climatici. Numeri che non si ridimensioneranno nell’immediato e che prevedibilmente – soprattutto a causa del clima, cresceranno esponenzialmente. Aumenteranno i profughi e i conflitti, grandi e piccoli – per il controllo delle risorse naturali, acqua in primis.

Uno scenario terribile ma realistico, che ci impone lucidità e velocità nelle risposte da dare, che sono tante e complicate. Diffidiamo da chi dice il contrario. Tanto complicate da far apparire “semplice” rafforzare il dispositivo di salvataggio in mare o di potenziare la rete dell’accoglienza nella UE. Noi europei sappiamo bene invece che questo punto sta mettendo a dura prova la tenuta stessa dell’Europa come soggetto politico. Ma ciò non toglie che sia quello su cui sarebbe più facile intervenire se il buon senso prevalesse sugli egoismi nazionali mettendo all’angolo le ideologie xenofobe e scioviniste che li alimentano. Quello che è difficile è intervenire sulle cause che determinano questo epocale flusso di esseri umani. Il mutamento climatico e la pace sono le due questioni che con prepotenza stanno acquisendo centralità, sommandosi a quello della ridistribuzione equa della ricchezza. Temi di portata mondiale e in rapida criticizzazione che senza una governance mondiale solidale sono destinati a portare sconvolgimenti globali e forse irreversibili. Dovremmo quindi inziare a dire con chiarezza che i profughi non sono il problema, ma il “sintomo” di problemi enormi, che non saranno risolti nè dal filo spinato nè dagli slogan xenofobi.

Scenario da far tremare i polsi ma non eludibile, che richiede coraggio e consapevolezza, in primis salvando le persone e accogliendole dignitosamente. Ma insieme a questo si dovranno fare tutti i passi internazionali necessari per affrontare le altre questioni enunciate. Un approccio diverso quindi per il quale occorrerà grande realismo e concretezza. Solo in questo modo potremo uscire dalla emergenza senza fine che ci sorprende sempre. Una sorpresa ingiustificata e ottusa che non tiene conto di quanto economisti, demografi e operatori sul campo da tempo hanno descritto e previsto. La realtà di oggi era già prevedibile ieri ed è probabile che domani i nostri destini saranno sempre più intrecciati a quelli di chi fugge per sopravvivere, per queste ragioni quei naufragi riguardano il nostro futuro. Altro che buonismo.

 

 

 

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