Sull’incontro per la presentazione del volume di Musine Kokalari “La mia vita universitaria – Memorie di una scrittrice albanese nella Roma fascista (1937-1941)” organizzato dall’associazione Occhio Blu – Anna Cenerini Bova
Venerdì 21 Ottobre, diversi cultori della letteratura albanese si sono riuniti nella Biblioteca dell’Archivio dello Stato per partecipare ad un evento culturale. L’evento, che ha spinto le persone a sfidare le sorti di una Roma andata in tilt, per via di uno sciopero, imprevisto e selvaggio, dei mezzi pubblici, aveva una notevole importanza per noi albanesi, in special modo per noi donne albanesi, che siamo lettrici e amanti delle donne scrittrici.
In mezzo a tanti volumi antichi, custoditi con cura all’interno della suggestiva Aula Alessandrina, si sono aperte le pagine di un libro nuovo, che lascia volare una colomba bianca, segno di pace, perché di pace si tratta, perché vogliamo regalare un po’ di pace ad un’anima martoriata, vogliamo dare voce a parole taciute per lungo tempo, vogliamo conoscere e leggere una storia accaduta tanti anni prima, ma non tanto tempo fa.
Sto parlando di Musine Kokalari e del suo volume La mia vita universitaria, una breve ma intensa storia biografica, che ospita le Memorie di una scrittrice albanese nella Roma fascista (1937-1941), curate da Simonetta Ceglie e Mauro Geraci, con all’interno un saggio del poeta albanese Visar Zhiti.
Ha aperto la presentazione l’ex ambasciatore Mario Bova, nonché presidente dell’associazione Occhio Blu, che ha ringraziato tutti i presenti ed ha elogiato la tenacia e la passione con cui Simonetta e Mauro hanno lavorato per portare alla luce fogli rimasti chiusi in scaffali sconosciuti, al punto che lui, dopo aver letto quelle pagine, ha voluto sostenere questa iniziativa.
L’ambasciatore ha sottolineato di essere rimasto colpito scoprendo una cultura di base classica, emersa durante la lettura del libro La mia vita universitaria. L’ambasciatore, che ha vissuto in Albania, è un conoscitore profondo della nostra cultura,ed ha sostenuto di essere fermamente convinto di avere incontrato la prima scrittrice albanese ‘moderna’. Un concetto di modernità, individuabile attraverso la lettura dell’autobiografia di Musine, che va collocato nel e concepito insieme al periodo in cui è stata scritta, tra il 1937 e il 1941, ossia i quattro anni del percorso universitario.
Però, proprio per via di questa sua ‘modernità’, quelli che dovrebbero liberare l’Albania dalla tirannia dell’usurpatore per regalarla ai suoi figli albanesi, liberi e moderni, diventano i più terrificanti aguzzini di Musine, come donna, come donna pensante, come donna albanese moderna, nonché i più spietati massacratori della sua intera opera letteraria.
Il regime di Hoxha si rivela da subito uno dei regimi più sanguinosi della storia contemporanea, e Musine, donna dal carattere deciso e dalle idee chiare, appena laureata in una delle più prestigiose Università dell’Europa Occidentale, non esita ad esprimere con grande tenacia la sua totale contrarietà a qualsiasi forma di totalitarismo.
Dunque, si tratta non solo di una conoscitrice della letteratura, ma soprattutto di una donna dalle idee chiare, che sceglie con coraggio da quale parte stare, mentre – ahimè per lei -, chi si trova dall’altra parte decide il suo destino e quello dei suoi due fratelli, fucilati senza processo e senza pietà.
Prima di concludere per lasciare la parola al poeta Visar Zhiti, l’ambasciatore ha promesso che in futuro sarà sua cura aiutare i due studiosi nel loro lavoro, affinché l’intera opera letteraria di Musine possa venire alla luce e prendere il posto che le appartiene nella letteratura albanese.
Il nostro poeta Visar non è riuscito a trattenere l’emozione. Zhiti ha vissuto sulla sua pelle la tirannia, perché durante gli anni del regime, quando lui era ancora molto giovane, aveva cominciato ad esprimere le sue idee attraverso opere letterarie che il regime le classificava come anticonformiste, ragion per cui fu imprigionato per molti anni.
Visar ha voluto ringraziare di cuore la casa editrice Viella per aver pubblicato le Memorie, ed ha ribadito la totale mancanza di volontà da parte delle case editrici albanesi.
Visar ha parlato di “carte che diventano libro”, quelle carte nascoste tra gli scaffali albanesi che vedono la luce in Italia, grazie alla passione e tenacia di Simonetta e Mauro, supportati dall’associazione Occhio Blu e dalla volontà del suo presidente Bova – che si è mostrato più albanese degli albanesi stessi.
Queste memorie, per nostra fortuna, sono state salvate, tuttavia altri scritti furono bruciati durante gli anni della dittatura.
Zhiti ha definito Musine una donna emblematica che, nonostante la sua giovane età, ha suscitato un enorme interesse presso i più noti scrittori dell’epoca, come si evince dalla sua corrispondenza con Lasgush Poradeci, Ernest Koliqi, e il suo professore del liceo Aleksander Xhuvani.
Musine nasce e cresce nel seno di una famiglia di intellettuali. Il padre è un noto avvocato, che aveva fatto rientro in Albania, dopo avere vissuto per anni in Turchia, terra nativa di Musine. I tre fratelli di Musine sono noti professionisti, e Zhiti ha sottolineato che in tempo di guerra avevano scelto i libri.
Quando Musine è stata arrestata, in una foto arrivata a noi appare triste per via della scomparsa dei suoi cari fratelli, ma allo stesso tempo scorgiamo una donna fiera delle sue idee, forte nelle sue convinzioni e irremovibile nelle sue decisioni.
Sono riusciti a toglierle le gioie della vita, tutte le gioie, ma non sono riusciti a toglierle la luce, quel raggio di luce che oggi ci illumina e ci saluta, perché la sua anima sta qui con noi, in mezzo a noi.
Zhiti ha concluso ricordando l’importanza di questa giornata, perché l’anima di Musine è stata vista rinascere.
La parola è passata poi ad una donna albanese, la signora Nevila Nika, responsabile dell’Archivio dello Stato Albanese. Questa piccola donna, che regala energia positiva, grazie alla sua voce squillante ed al suo italiano perfetto ci ha raccontato la fatica fatta da lei e dai suoi colleghi per riuscire ad individuare i fascicoli appartenenti a Musine. Tutto quello che è stato sequestrato alla famiglia Kokalari è stato gettato nell’archivio, ma alcuni fascicoli appartenenti al fratello di Musine sono stati attribuiti erroneamente a lei. Qualcosa, per fortuna, è stato salvato dal rogo, ma non la casa dei Kokalari.
La signora Nevila ha detto di sentirsi fortunata di poter svolgere questo lavoro perché, avendo trovato il giusto compromesso tra la volontà e la pazienza, e con l’aiuto di un pizzico di fortuna, lei ed i suoi colleghi sono riusciti a consegnare nelle mani di Simonetta e Mauro il materiale per realizzare il presente volume.
Dalla corrispondenza di Musine con il suo professore Aleksander Xhuvani e con Poradeci e Koliqi, si evince che questi “uomini dai capelli bianchi”, come li definisce la signora Nevila, poeti che hanno fatto la storia della letteratura albanese, consideravano Musine come una loro collega, una scrittrice sulla quale avevano riposto fiducia ed alla quale avevano chiesto collaborazione in vari aspetti della vita culturale.
Oggi stiamo raccogliendo i frutti di un lavoro molto lungo e altrettanto delicato nella sua specie, tuttavia siamo anche coscienti che avremmo potuto avere molto di più, se questa meteora non si fosse schiantata sul terreno sbagliato.
“Meteora”, cosi il professor Ardian Ndreca ha chiamato la Muza spenta (Muza è il soprannome di Musine).
Stile, eleganza e grande professionalità hanno accompagnato l’ultimo relatore della serata, il professor Ndreca, il quale ci ha invitato a riflettere sul titolo della collana: Le memorie restituite. Nel caso dell’opera di Musine, il professor Ndreca ha parlato di ‘memoria restituita’, come qualcosa che ci è stato tolto ingiustamente e oggi ritorna più forte che mai. Ndreca ha ringraziato infinitamente la passione e la devozione con cui i curatori hanno realizzato l’opera.
Musine cresce in una famiglia intellettuale. Tutti i maschi della famiglia sono stati istruiti all’estero, e così decidono di mandare anche Musine a studiare nella grande metropoli, nella città eterna.
Musine lascia la sua piccola città, anzi, la sua strettissima realtà, un piccolo mondo fatto di case basse e vicoli tortuosi, dove si sentono le voci dei bambini che si mescolano con il belare delle pecore.
Viene catapultata nella grande metropoli, dove si scopre sola e sconsolata. Tutto ciò che la circonda ostenta grandezza, una tale grandezza che al confronto lei si sente ‘piccola e dispersa’.
Ndreca ha ricordato che lei ‘e entrata in punta di piedi’ in questa realtà romana e, in seguito, nelle sue Memorie, lei ha descritto tutto con ‘l’inchiostro della melanconia’, scoprendosi pigra, soprattutto annoiata, in alcune giornate grigie o in altre, quando la pioggia bagnava le strade della città.
Trova pace nell’arte. Lei è amante dell’arte, riesce a fornirci tanti particolari su alcune chiese della capitale, si sofferma sui piccoli dettagli, mostrando un’anima curiosa e allo stesso tempo pignola.
Rimane delusa dal sentimento dell’amicizia, dal sentimento di un amore nato ma svanito subito, motivo forse lo scontro culturale, lei donna albanese e in più musulmana, lui incoerente, tra il coraggio che doveva dimostrare andando in guerra e quello che gli mancava nei confronti di Lei, di dirle semplicemente la verità, quella che Musine scoprirà da sola.
Donna ironica, autoironica, nonostante studiasse all’Università, ogni volta che faceva ritorno a casa non perdeva occasione di chiedere alle vecchiette le canzoni e i racconti etnografici. E le vecchiette, stupite che una ragazza moderna si occupasse di canti o racconti del paesello, la prendevano in giro cantando e recitando il loro mondo, mentre Musine scriveva quello che in seguito sarebbe diventato il suo primo libro: Seç më thotë nëna plakë.
Musine in così giovane età, prova da vicino il dolore altrui. Le muore un parente al San Giacomo di Roma, dove si rende conto che gli anziani sono aggrappati alla vita dei più giovani, mangiano più di loro, come se sapessero che gli è rimasto molto poco da vivere, e non volessero andare via.
Musine verrà salvata (si salverà) dalla bellezza di Roma.
Vive la lotta interiore e si chiede se si può essere liberi, senza essere sovrani. Prova il sentimento del dubbio, dell’abbandono ma al contempo sa estraniarsi, perché si sente albanese quando i soldati italiani girano e parlano ‘una lingua straniera per le strade di Tirana’.
Il 28 Novembre del 1942 si laurea all’Università La Sapienza in Letteratura Albanese, con una tesi scritta in italiano e premiata con il voto 110/110 e lode.
Alla fine Simonetta Ceglie e Mauro Geraci hanno ringraziato i presenti e hanno invitato la sottoscritta a leggere dei brani del libro: Le mie memorie Universitarie.
Ho salito per anni le stesse scale, ho frequentato le stesse aule e mi sono laureata nella stessa facoltà dove si laureò Musine, anni indietro.
Ho scoperto l’opera di Musine Kokalari, ho scoperto la Donna Musine e ho pianto. Ho pianto per la sua vita ed anche per la vita di noi donne nate con lei e dopo di lei, perché ci hanno privati di una illuminatrice, di una letteraria, di un’insegnante, di una madre, di una nonna, privati della possibilità di vivere nella nostra terra mentre tante Muse esprimevano il loro pensiero liberamente.
Eliza Çoba