Il serbo Nicolic, l’assassino di Sarah Jay accusa gli albanesi. Tanto ci cascano tutti.
Ci ha provato anche un altro assassino a fare ricadere la colpa sugli albanesi. Il serbo Nicolic, l’assassino della piccola Sarha J., la sorella di sua convivente. Compie uno scempio con il corpo della bambina, accetta la colpa ma poi di colpo ritratta, dà la colpa agli albanesi. Avrà pensato, come è ormai opinione comune, che se gridi all’albanese tutti ti credono.
Non è la prima volta che qualcuno progetta un crimine pensando di scaricarne la colpa sugli albanesi. Tanto qualcuno che ci casca si trova sempre. Non ci cascano, di solito, magistrati e poliziotti. Almeno finora.
La caccia all’albanese a Novi Ligure dopo le accuse della matricida Erika di Nardo, il linciaggio riservato in maniera esclusiva al “pirata della strada” Panajot Bita “scoperto”dalla troupe di un telegiornale in possesso della patente regolarmente consegnata e dato in pasto al giudizio dell’indignazione popolare: espulso. L’uccisione di un tabaccaio a Milano e l’ondata di odio contro gli albanesi additati come autori del delitto senza il minimo indizio per poi scoprire che erano stati degli italiani. Gli ormai famosi amanti di Capriolo
All’interno, una carrellata dei più eclatanti casi di autogol di persone che hanno gridato all’albanese per nascondere le proprie efferatezze o anche per approfittarne politicamente. I commenti? Sono nei fatti.
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Novi Ligure
“È diffusa opinione a Novi Ligure che questo delitto sia da collegarsi alla presenza in zona di bande di delinquenti albanesi e/o slavi”, scrive il giorno dopo il delitto il deputato leghista Mario Borghezio, della Lega nord, in un’interrogazione al ministro dell’Interno Enzo Bianco. Dove chiede di “individuare e sradicare dalla zona le bande criminali di extracomunitari clandestini, che attualmente vi spadroneggiano pressoché indisturbati”. Clandestini che, conclude improvvidamente Borghezio, creano “un diffuso stato di inquietudine fra i cittadini onesti e laboriosi del Piemonte”.
La fregola in casa leghista è tale che La Padania, il quotidiano del partito, nell’edizione di venerdì 23 febbraio adotta una linea schizofrenica. La cronaca da Novi sottolinea che “la vicenda è poco chiara” e che si parla anche di “ladri italiani”. Ma nelle stesse pagine Bernardino Bosio, segretario nazionale della Lega nord Piemonte e sindaco di Acqui Terme, distilla la sua verità: “Non prendiamoci in giro, per favore. Le voci che circolano danno quasi per certo che la responsabilità di quest’orrore è da imputare a persone di nazionalità slava. Del resto si tratta di una violenza atipica rispetto alla criminalità italiana, alla nostra cultura. Hanno massacrato una donna e torturato un bambino di 12 anni. Possono raccontarci quello che vogliono, ma è questo che la gente pensa”. Il deputato e segretario lombardo Roberto Calderoli dà del Pinocchio a Piero Fassino, reo di avere fornito dati rassicuranti sui rimpatri dei clandestini “quasi in contemporanea con la notizia della tragedia di Novi Ligure”. Lo stesso Calderoli affermerà qualche giorno più tardi che chi “ha provato sollievo” alla notizia che si è trattato di una tragedia familiare “fa schifo”.
I leghisti straparlano, ma non sono i soli. Sempre venerdì, il sobrio deputato di Forza Italia Franco Frattini, possibile futuro ministro dell’Interno, sul Giorno cerca di salvare la capra della prudenza e i cavoli del consenso: “Se noi dovessimo scoprire, come tante volte abbiamo scoperto, che a colpire sono stati dei clandestini, ci dovremmo chiedere come mai il Comune di Novi Ligure dava le case agli immigrati più o meno regolari, e come mai non aveva pensato all’effetto indotto di un possibile aumento della criminalità”.
Marco Zacchera, deputato piemontese di An, invia all’agenzia di stampa Adn Kronos un comunicato in cui anticipa un’interrogazione per il ministro Bianco: “Sono assassini sanguinari della peggior specie. Non pensino le istituzioni che i cittadini, convinti, quasi certamente a ragione, che si tratti della solita banda di slavi storicamente e geneticamente avvezzi a tali efferatezze, possano continuare a mantenere la calma aspettando l’intervento dello Stato”. Quel “geneticamente” finisce sui giornali e scatena polemiche: Fabio Mussi valuta se ci sono gli estremi per applicare la legge Mancino sull’incitamento all’odio razziale. Anche Il Secolo d’Italia, quotidiano del partito di Fini, riprende il comunicato e titola: “An: slavi sanguinari”. Zacchera, però, respinge l’accusa di razzismo e dà la colpa alla segretaria che avrebbe capito male.
Nel testo ufficiale, che finisce nei verbali della Camera, il passaggio incriminato viene corretto: “La popolazione è letteralmente esasperata, insicura”, e “ha immediatamente collegato il barbaro episodio alle stragi e agli eccidi che da secoli – e ancora in questi anni – si sono ripetuti infinite volte nella penisola balcanica da popoli che sembrano essersi abituati a queste efferatezze”. La segretaria, insomma, avrebbe confuso “essersi abituati a queste efferatezze” con “storicamente e geneticamente avvezzi a queste efferatezze”. Oppure, seconda ipotesi, Marco Zacchera è un razzista. Oppure, terza ipotesi, non lo è ma pensa che gli convenga sembrarlo.
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Il Caso Bita
Il 24 agosto del 1999 Alessandro Conti, un bambino di 9 anni, viene investito e ucciso dalla Bmw guidata da Bita Panajot, albanese con permesso di soggiorno. Panajot, inquisito anche per vicende legate allo sfruttamento della prostituzione, viene condannato a 5 anni di reclusione ma viene scarcerato con la condizionale. Quando gli viene – legalmente – restituita la patente, il presidente della Regione Lazio Francesco Storace, di Alleanza nazionale, afferma: “Il fatto che questo signore giri liberamente per Roma è una vergogna ignominiosa. Una persona che ha ammazzato un bambino lasciandolo agonizzante in strada andrebbe sbattuta in galera senza troppi riguardi”. Non si ricordano simili dichiarazioni di Storace sui tanti “pirati” italiani che uccidono e scappano.
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Sempre l’albanese
Il 9 gennaio 1999, nel corso di una rapina, viene ucciso a Milano il tabaccaio Ottavio Capalbo. È il culmine dei famosi “nove omicidi in nove giorni” che insanguinano l’inizio d’anno in città. Il solito Borghezio interviene tempestivamente presso il ministro dell’Interno e parla di “Milano, assediata dalla criminalità soprattutto d’importazione”. Il collega leghista Roberto Maroni ha già pronta la diagnosi: “Le forze dell’ordine hanno grandi difficoltà a controllare questa ondata di criminalità coordinata da clan albanesi ed extracomunitari”, detta all’agenzia di partito Agepadania.
Anche Calderoli dice la sua: “I maggiori responsabili di questa ondata di criminalità sono senza dubbio l’attuale vergognosa legge sull’immigrazione, figlia del cattocomunismo più becero, e il ministro dell’Interno Jervolino”.
Il 16 gennaio, il Polo delle libertà organizza a Milano una manifestazione guidata da Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini, con 20-30 mila persone che impugnano scope “per spazzare via i clandestini” e gridano slogan anti-islamici. I responsabili della morte di Ottavio Capalbo verranno tutti arrestati e condannati. Sono italiani tranne uno, l’olandese David Moneypenny.
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Gli amanti
La notte del 18 febbraio 1997 Maria Angiola Assoni denuncia di essere stata stuprata nella sua villetta in provincia di Brescia da “uno slavo e un albanese”. Il marito Oliviero Signoroni finisce in ospedale gravemente ferito. Il senatore leghista Francesco Tabladini tuona subito contro “l’immigrazione clandestina, la cui malavitosità è insopportabile”. Maria Angiola Assoni diventerà famosa, con Massimo Foglia, come l'”amante diabolica” di Capriolo. Gli slavi se li era inventati, il piano era quello di far fuori il marito. E qualcuno, come al solito, ha abboccato.
POST SCRIPTUM
Martedì 27 febbraio si racconta di due giovani della provincia di Bergamo che, alle 4 di domenica mattina, si schiantano contro una centralina del metano con la loro fiammante Bmw. Usciti indenni dall’abitacolo, si allontanano e chiamano il 112. Raccontano ai carabinieri che la macchina gliel’hanno rapinata poco prima “due albanesi armati di coltello”. I carabinieri non ci cascano e i giovani bergamaschi rimediano una denuncia per simulazione di reato. Dall’omicidio all’incidente stradale, ormai vale la pena provarci: “Io? Che c’entro io? Erano due albanesi…”.
Bota Shqiptare n. 38 del 4 maggio 2001
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