Il Venerdì Santo del 28 marzo 1997 ha segnato un tragico momento della storia degli ultimi decenni del popolo albanese: dopo la collisione con la corvetta italiana Sibilla, la vecchia motovedetta Katër i Radës affonda prendendo con sé in fondo al mare decine e decine di uomini, donne e bambini. Era il primo respingimento in mare aperto intrapreso dall’Italia per fermare le ondate degli albanesi che in un momento difficilissimo per il loro Paese, cercavano di arrivare alle coste italiane ad ogni costo.
In memoria di quel tristissimo evento pubblichiamo la poesia di Vladimir Koçiraj, di Valona, immigrato in Italia nel 1991, scritto pochi giorni dopo la tragedia.
Il mare della morte
Il mare non parla, non vede,
non mangia,
ma ha una bocca enorme,
due occhi grandi e una fame mondiale
Non spezza le ossa come i cani,
ma mostra i denti da squalo
e le bave negli angoli di una bocca affamata
hanno trascinato spietate
le anime umane
che affondando speravano
di aggrapparsi alle stelle lontane,
che si spegnevano per ognuno di loro.
La luna vergognata, copriva il volto.
Il cielo diventava nero
per mancanza di luce.
La speranza ormai morta
galleggiava sott’acqua
in una scoppiata bolla di pensieri.
Il mare aveva inghiottito pure i desideri.
E adesso per dissetarsi,
beve le lacrime delle mamme
che inutilmente aspettano sulla riva
i messaggi dei figli sepolti chissà dove?!
Gli albanesi non amano più
il mare come prima
ma gli sputano in faccia
chiamandolo “traditore”!