Minimo cinque anni di residenza per gli aiuti alle neomamme che rinunciano ad abortire. L’assessore Cantù: “Troppe domande da donne extracomunitarie”. Carugo (NCD): “Salviamo bambini, che c’entra di chi sono figli?”
Milano, 7 marzo 2014 – Brutto regalo per le donne in Lombardia: la Regione vuole tagliare gli aiuti economici alle neomamme immigrate. Questione di “riequilibrio degli aventi titolo”, ha spiegato nel consiglio regionale del 4 marzo l’assessore alla salute Maria Cristina Cantù (tecnico in quota Lega Nord, vicina al presidente Roberto Maroni), sostenendo che la maggioranza dei lombardi non sarebbe d’accordo a dare quei soldi a donne straniere.
La decisione riguarda due fondi regionali, chiamati Naskoe Cresco. Il primo concede 3.000 euro per l’acquisto di beni e servizi destinati a mamma e bambino alle donne che rinunciano alla scelta di interrompere volontariamente la gravidanza, il secondo 900 euro per l’acquisto di generi alimentari nei primi diciotto mesi di vita del bambino. In entrambi i casi, bisogna avere un reddito particolarmente basso e, fino a oggi, essere residenti in Regione da almeno un anno.
Le regole, però, stanno per cambiare. L’amministrazione guidata dalla Lega Nord ha infatti deciso di alzare a cinque anni il requisito minimo di residenza per l’accesso a questi e ad altri sussidi. Una scelta che andrà a penalizzare le mamme immigrate, come ha confermato Cantù rispondendo in aula a un’interrogazione.
Il Nuovo Centro Destra chiedeva lumi sul perché, pur essendo stati stanziati 4,4 milioni di euro per i fondi Nasko e Cresco, quest’anno la disponibilità ammonta a meno della metà, 2 milioni e 156 mila euro. “La difformità – ha spiegato l’assessore – è frutto dell’effetto di trascinamento per via della durata dei singoli provvedimenti, di 12 e 18 mesi. Una misura adottata per il fondo Cresco a novembre 2013 avrà un costo per tutto il 2014 ma andrà da esaurirsi ad aprile 2015, con ciò si spiega come nel 2014 i fondi per nuovi progetti siano previsti in 2,1 milioni euro”.
“Una riflessione di più ampia – ha però aggiunto Cantù – porta a mettere a punto criteri più selettivi e più rispondenti alle necessitò di cittadini lombardi. Nei 3 anni della sperimentazione sono stati spesi oltre 18 milioni di euro, di cui il 75% è finito a extracomunitari. Non credo che la totalità di cittadini lombardi, se opportunamente informati, si diranno totalmente soddisfatti dell’impiego di queste risorse, soprattutto nell’attuale crisi”.
Per le mamme che rinunciano ad abortire e accedono al fondo Nasko, viene predisposto un progetto personalizzato presso un Consultorio familiare o presso un Centro di Aiuto alla Vita. Secondo Cantù serve “una progettualità coerente ai nostri valori tradizionali”, perché “l’etica non si compra con i soldi”. L’assessore ha quindi confermato che “l’introduzione di correttivi che consentano un riequilibrio degli aventi titolo”.
Il primo a contestare la decisione della giunta leghista è stato in aula Stefano Carugo, consigliere del Nuovo Centro Destra che aveva presentato l’interrogazione. “L’etica non si compra con i soldi – ha ribattuto – ma neanche la nascita di un bambino deve guardare il colore della pelle. Quindi è vero del 75% extracomunitari , tranne il sottoscritto [Carugo ha sei figli, ndr] mica è colpa mia se gli italiani non fanno più figli, quindi impegnatevi perché così diamo l’esempio”.
“Al di là della battuta – ha aggiunto Carugo – la bontà e la finalità del fondo Nasko vanno al di là del fatto che il bambino che nasce è figlio di un marocchino, un romeno, un ucraino, un italiano o di un cingalese, è il principio che vale: noi stiamo salvando dei bambini che non sarebbero mai potuti nascere. E questo, assessore, non ha colore. Questa è etica, altre cose non c’entrano nulla con l’etica”.
EP