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Avere l’Italia in casa nell’Albania della dittatura

Arrivai in Italia come parente di cittadina italiana, rimpatriata dall’Albania. Ebbi la cittadinanza italiana subito, poco dopo il mio arrivo in Italia, ormai 22 anni fa. Ho potuto usufruire di diritti ed ho rispettato i doveri da cittadina italiana, ho potuto votare negli anni, ecc. Sono stata felicissima di avere realizzato io, ciò che alla mia nonna paterna, italiana, è stato negato dal regime totalitario in Albania, anche solo avvicinarsi al territorio del Consolato che in Albania rappresentava la sua Italia. Dunque, per aver ottenuto molto facilmente la cittadinanza italiana io e la mia famiglia, io devo ringraziare mia nonna, che in Albania ha passato un’intera vita, resa affatto facile dal regime del posto in cui lei aveva scelto di vivere
Di Adela  Kolea

Nonostante vivessimo nell’Albania sotto dittatura, esisteva una piccola Italia che si trovava proprio dentro casa nostra.
Avevamo l’Italia “in casa” sì, poiché la mia nonna paterna era italiana e mio nonno, albanese.
Arrivata in Albania verso la fine degli anni ’20, mia nonna trascorse, assieme al suo marito albanese, ai loro figli e, di conseguenza, assieme a tutto il popolo albanese, tutto il periodo del totalitarismo.

Poi, quell’ulteriore pezzo d’Italia, che consisteva almeno nel territorio dell’Ambasciata Italiana situata nella nostra città Tirana, era un sogno pericoloso da vivere, da attraversare, era una luce non consigliabile da fissare con gli occhi, perché i suoi effetti radiosi, ma violenti, avrebbero potuto causare dei danni alla vista, a noi, ed a chiunque avrebbe osato avvicinarsi a quei cancelli.
Ah, sì. A quei cancelli, una famiglia, dopo la morte del dittatore che era avvenuta nel 1985, si era avvicinata e non solo: quella famiglia era entrata nel territorio italiano. Scalpore!

Tirana, fine anni ‘80

Al Consolato Italiano c’erano già le file, anche se non lunghe di cittadini albanesi che tentavano invano di poter avere un visto d’ingresso in Italia, esclusivamente per “motivi di turismo”. Ai tempi, i visti erano concessi, prima con l’esigenza di una garanzia da parte di qualcuno in Italia, e dopo, senza tale garanzia. Noi, di quei pochi dallo “ius sanguinis”, una volta aver avuto accesso in quel territorio, difficilmente valicabile appunto per gli albanesi ‘comuni’, devo ammettere che, ci sentimmo di casa. Sinceramente avvertimmo un‘ottima accoglienza da parte del personale del Consolato, una gentilezza e disponibilità nell’accoglierci, meravigliosa, commovente. E commovente lo sembrava davvero per entrambe le parti: per noi e per loro.

Avevo soli quindici anni e, al Consolato Italiano a Tirana, entrai assieme a mia nonna. Avevamo la garanzia, avevamo tutte le carte in regola per poter avere il visto d’ingresso per l’Italia!
Notai una fortissima commozione in mia nonna. Notai veramente l’effetto strano che creò l’abbraccio tra lei e gli impiegati del Consolato. Tanta commozione, che, solamente chi è stato costretto a vivere una vita lontano dalla sua terra, dai suoi cari, può capire.

Ci sentivamo a nostro agio, forse perché la lingua la parlavamo perfettamente – intendo dire, anch’io, perché per la nonna questo era un fatto normale, si trattava chiaramente della sua propria lingua – nelle nostre famiglie bilingue, a noi nipoti, l’italiano veniva insegnato parallelamente all’albanese, o forse perché in fondo, proprio il legame di sangue, quello misto italo – albanese, rendeva veramente molto facile questa nostra situazione, anche quella burocratica del contesto in cui ci trovavamo.
Di conseguenza, la nostra origine mista, su tutta la solita burocrazia  che riservava  un consolato, per di più per faccende che ai tempi, riguardavano i visti d’ingresso all’estero riservati ai cittadini albanesi, diversamente dagli albanesi in generale, per noi, faceva scattare un meccanismo – incentivo, che contribuiva a snellire la pratica ed a sollecitare tutto.

Correva l’anno 1989

Infatti ottenemmo subito il visto ed io, assieme alla nonna, presi l’aereo: destinazione Italia!
Un’emozione indescrivibile per un’adolescente albanese quest’esperienza, ne avevo da raccontare al mio ritorno ai miei genitori, ai miei compagni di liceo, proprio a tutti… Ricordo che avevo da discutere al mio arrivo non solo con i miei coetanei, ma anche con i professori del Liceo, i quali, in modo riservato e delicato, anche perché, alla fine, si dovevano attenere al loro ruolo di docenti, nonostante il regime era agli ultimi respiri, li vedevo molto curiosi di sapere le mie impressioni che riportavo dal paese vicino, l’Italia.

Inizio anni  ’90

Arrivai in Italia non più da turista, ma come parente di cittadina italiana, rimpatriata dall’Albania, e, con l’intenzione di fermarmi cui a vivere.
Ebbi la cittadinanza italiana subito, poco dopo il mio arrivo in Italia, ormai 22 anni fa. Ho potuto usufruire di diritti ed ho rispettato i doveri da cittadina italiana, ho potuto votare negli anni, ecc.

Sono stata felicissima di avere realizzato io, ciò che alla mia nonna paterna, italiana, è stato negato dal regime totalitario in Albania: anche il fatto di avvicinarsi solamente al territorio del Consolato che rappresentava in Albania, la sua Italia. Per non elencare le conseguenze che avrebbe dovuto subire dal regime al potere ai tempi, lei e la sua famiglia, nel caso non avesse rispettato queste imposizioni.

Dunque, per aver ottenuto molto facilmente la cittadinanza italiana io e la mia famiglia, io devo ringraziare la mia nonna, che in Albania ha passato un’intera vita, una vita resa affatto facile dal regime del posto in cui lei aveva scelto di vivere.

Al momento della cerimonia del conferimento della cittadinanza, dopo il giuramento, sono stata e lo sono tutt’ora,  infinitamente grata all’Italia di quest’opportunità, allo stesso tempo, non mi dimentico mai delle mie radici e della mia terra di provenienza, l’Albania.

Mi rammaricai per una cosa al momento del conferimento della cittadinanza. La normale gioia provata non ho potuto esternare più di tanto. Non so se per un fattore prettamente personale, in quanto ognuno esterna più o meno i suoi sentimenti di vari contesti  della vita a modo esclusivamente personale, ma, anche perché ho avuto come l’impressione  che in quell’ istante, è scaturito un misto di sensazioni, miste proprio come la mia origine.
Da una parte, affetto e  gratitudine nei confronti dell’Italia che in quel momento, ci stava meravigliosamente accogliendo e rendendo figli suoi.  L’Italia si stava riconfermando per noi, quella mamma che  alla fine, per una famiglia di origine italo – albanese come la mia, il ruolo della mamma lo ha sempre fatto, anche se a distanza.
Dall’altra, rabbia nei confronti del mio paese, l’Albania, che non ha saputo tenerci vicini. E come noi, centinaia e migliaia di figli, e tanti di loro, tra i suoi migliori figli.

Mi ci sono voluti anni per rendermi conto infine – forse soprattutto vivendo i tempi di crisi generale attuale – che una mamma, nonostante non volesse mai che i figli partissero per andare lontano per costruirsi il proprio futuro, mentre vede che le  opportunità per i figli concretamente mancano, anche se a malincuore, li lascia liberi di andare a tentare la fortuna altrove.

E forse, ai tempi del grande esodo, anche la mamma Albania, si è trovata a fare, sfortunatamente, proprio una tale scelta coraggiosa e dolorosa e, chi la vuole capire, la capisce.

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