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Centri di Espulsione. Il New York Times: “Crudeli e inefficaci”

Il quotidiano americano dedica un lungo servizio ai Centri d’Identificazione e Espulsione italiani, dando spazio alle critiche delle organizzazioni per i diritti umani. “Sono prigioni con un nome diverso”

Roma, 5 giugno 2013 – “Il Centro di Identificazione ed espulsione di Ponte Galeria non è un prigione. Ma la differenza sembra più che altro una questione semantica”.

Inizia così un servizio dedicato oggi dal New York Times ai Centri d’Identificazione e Espulsione (CIE) italiani, che dà ampio spazio alle critiche, mosse soprattutto dalle organizzazioni per diritti umani, secondo le quali si tratta di strutture “inumane, inefficaci e costose” o, come recita il titolo, “crudeli”. “In Italia – spiega– i critici asseriscono che i centri riflettono politiche che equiparano l’immigrazione alla criminalità, si lasciano sfuggire i benedici che i migranti possono portare e non riescono a tenere conto della natura sempre più multiculturale della società”.

Il NYT intervista Gabriella Guido, coordinatrice della campagna LasciateCIE entrare. “Sono luoghi – dice l’attivista – sconnessi dalla società italiana, che è poco informata della loro esistenza. Sono discariche politiche e culturali che guadagnano la ribalta nazionale solo quando scoppiano le rivolte”. Poi cita il rapporto di Medici per i Diritti Umani, secondo il quale solo il 50% dei trattenuti vengono rimpatriati e comunque “sono una piccolissima parte dei 440mila irregolari che si stima vivano in Italia”

Tra i casi citati dal quotidiano americano c’è anche quello di Karim, un ventiquattrenne di origine egiziana cresciuto in Italia, con una compagna italiana, al quale è scaduto il permesso di soggiorno e per questo è rinchiuso a Ponte Galeria. E ora rischia di essere rimpatriato in Egitto, Paese che ha lasciato quando era bambino e dove non conosce nessuno. Per evitarlo sono state raccolte quasi 20mila firme.

L’ultima testimonianza raccolta dal NYT è quella di un tunisino che, dopo aver scontato cinque anni di prigione per traffico di stupefacenti, si è trovato rinchiuso nel CIE di Ponte Galeria. “La prigione – dice – era organizzata meglio che qui”.

Eppure, ricorda il servizio, anche l’ultimo discusso piano sui CIE del ministero dell’Interno ritiene queste strutture “indispensabili”. E dà una serie di indicazioni, come l’affidamento a un gestore unico o la creazione di celle di isolamento per i fomentatori di rivolte.

Italy’s Migrant Detention Centers Are Cruel, Rights Groups Say (The New York Times)

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