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Dritan Çela, la farfalla migrante

“Dritan Çela era una personalità, ma in Italia visse e morì anonimo. Con la sua scomparsa nelle sue statistiche l’Italia avrebbe avuto solo uno straniero in meno, il mondo un cittadino in meno”
Di Gentiana Minga

Egregio sig. Ardizzoni, vorrei ringraziare lo staff dei medici e degli infermieri che stanno facendo l’impossibile per liberare dagli artigli della malattia Dritan Çela, il giovane artista e traduttore, figlio d’arte, per far sì di vederlo di nuovo davanti alla sua scrivania…” (Maksim Cikuli, Ministro della Sanità 2006 Tirana, Albania)

Se Dritan Çela fosse ancora vivo, prima di vederlo di nuovo davanti alla sua scrivania, forse lo avremmo visto sopra un muletto in una fabbrica di Parma, sollevando casse zeppe di conserve di pomodori. La fabbrica dipendeva dalla produzione di quest’ultimi, così un giorno di primavera inoltrata, scherzando con i suoi colleghi di lavoro, il ragazzo disse: “Va bene, lavorare con la pioggia ha il suo lato positivo, almeno in estate non lavoreremo fino alla sera tardi”.  Questa sua affermazione innocua giunse molto contorta agli uffici della direzione e il ragazzo straniero da molti considerato “vanitoso” per via della sua laurea, venne “punito” con ulteriori lavori pesanti. E siccome sapevano che era in grado di superare tutte le difficoltà venne caricato di altro e altro ancora fino al giorno della comparsa della sua malattia.

Malgrado la lettera del Ministro della Salute albanese su raccomandazione del Presidente, Dritan Çela, uno degli artisti e traduttori albanesi più virtuosi e accreditati della letteratura italiana classica e contemporanea, figlio d’arte che avrebbe compiuto 47 anni l’11 gennaio scorso, esattamente undici anni fa, il 4 marzo 2006, spirò a soli 36 anni in un ospedale di Parma dopo nove mesi di tormenti, afflitto dalle metastasi che sfiancarono il suo corpo e la sua mente brillante. Si spense in totale anonimato e pieno di rimpianti, rassegnato e giacente su un letto in una camera dell’ospedale di Parma. “Al settimo piano”, osava sottolineare con gli amici, sorridendo amaramente, riferendosi a “Il settimo piano” di Buzzati. La camera dove non mancava il suo PC era stata abbellita da lui e dai suoi parenti con dei libri, alcuni CD e fiori, regali simbolici degli amici appesi un po’ dappertutto; il cuore rosso di peluche della sorella Riva e un elefante d’argento che gli avrebbe portato fortuna.

Il 4 marzo del 2006 il giovane artista stava per andarsene. Moribondo, con gli occhi semichiusi e le braccia scarne, di tanto in tanto cercava di grattarsi la fronte o il mento. Tutto succedeva davanti alla madre disperata e del padre che, avvilito, si chiedeva se mai avesse avuto la fortuna di cogliere quel breve attimo che serve al fiore per fiorire”.

Lasciò la moglie e i due piccoli figli tra lo stupore dei cittadini parmigiani che si resero conto troppo tardi che l’emigrato albanese con un viso dolce e sorridente, lo straniero che lavorava in fabbrica e viveva come un qualsiasi extracomunitario, era molto stimato in Albania sin dalla tenera età come il più talentuoso traduttore di Dino Buzzati e Luigi Pirandello, Italo Calvino e Carmine Abato, Susana Tamaro e Alessandro Barrico.

Dritan Çela nacque l’11 gennaio 1970 in una famiglia di intellettuali di Tirana. Il padre è il celebre scrittore albanese Zija Cela e la madre una professoressa di letteratura e linguistica. L’amore per la letteratura, soprattutto per quella italiana, lo spinse a studiare la lingua nella scuola superiore. Dopodiché proseguì gli studi universitari all’Università di Tirana, Facoltà di Lingua e Letteratura. Fu proprio da adolescente che tradusse i racconti di Dino Buzzati: ”Il cappotto” e “La Colomba”. Oltre a ciò, grazie a Dritan Çela, nel 1993 fu pubblicato per la prima volta in Albania anche “La moglie con le ali”. Decise di emigrare in Italia, a Castelnuovo di Parma, assieme alla moglie nel 1996 dopo aver vinto una borsa di studio e seguì un corso di traduzione presso la “Casa dei Traduttori dalla lingua italiana” a Procida, Napoli.

Di giorno lavorava come operaio in una fabbrica di conserve di pomodori. Nel tempo libero si dedicava totalmente alla traduzione di grandi scrittori della letteratura italiana. Indimenticabili per il suo talento, per la sua finezza linguistica e per la sua poetica le traduzioni del ”Il deserto dei Tartari”, ”Un amore” di Dino Buzzati, ”Va’ dove ti porta il cuore” di Susana Tamaro, ”Il dubbio“ di Luciano de Crescenzo, ”Le cosmicomiche” di Italo Calvino, ”Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello e così via.

Le ragioni che spinsero Dritan ad emigrare in Italia furono gli stessi motivi che spinsero tanti della nostra generazione a lasciarsi dietro le spalle migliori condizioni di vita per avventurarsi in esperienze che ci avrebbero arricchiti. Esperienze nuove, inaspettate, ma anche sgradevoli e deludenti. Dritan Çela poteva trascorrere una vita tutt’altro che travagliata nel suo paese natale. Era un artista affermato e figlio di un padre molto conosciuto nei circoli intellettuali albanesi; traduceva e lavorava alla Radiotelevisione albanese, viveva in un ambiente di gente colta e poteva diventare qualsiasi cosa volesse. Bastava che bussasse alla porta di qualche amico dei tempi dell’università diventato deputato o ministro. Ma a lui non andava né di stare accanto al potere, né di bussare alle porte degli uffici ministeriali. I richiami dell’Italia erano irresistibili, è solo qui che avrebbe perfezionato la sua tecnica, che avrebbe esportato in Albania sempre di più gli autori italiani per poi ricambiare con quelli albanesi. Aveva la necessità di conoscere la gente, le parole, i dialetti, le gestualità. Consegnò ai lettori albanesi 10 opere italiane di grande valore. L’importante sfida che realizzò solo in parte a causa dell’ imprevista malattia era di tradurre dall’albanese all’italiano. Solo poco prima di morire riuscì a pubblicare in lingua italiana “Le fiabe albanesi” di Virgil Muçi. Tempo dopo, suo padre scriverà nel libro dedicato al figlio: ”Lui era una personalità ma in Italia visse e morì anonimo. Con la sua scomparsa, nelle sue statistiche l’Italia avrebbe avuto solo uno straniero in meno, il mondo un cittadino in meno”. 

Chi ha avuto fortuna di conoscerlo negli ambienti universitari lo ricorderà semplicemente come Tani, o come Cela, il ragazzo con i capelli ricci e con il cuore d’oro, con i jeans blu e la perenne camicia bianca addosso; il sognatore che traduceva il film “Tutta colpa del paradiso” di Francesco Nuti. Colui che tanto assomigliava a Nuti e che amava Lucio Battisti. In uno dei suoi manoscritti scriveva: “Posso vedere l’isola d’Ischia dal terrazzo di casa… Da qui si vedono dei tramonti solari meravigliosi.”

Dritan Çela è il simbolo dei ragazzi degli anni ’90 che sacrificarono la comodità per gli ideali dai loro amici dimenticati e scelsero la vita da emigrante annacquato in Italia. Paese che non ha saputo accogliere il tesoro che costò all’Albania la perdita irrecuperabile dei “cervelli”, usati per raccogliere le mele, pulire le case o nel migliore dei casi lavorare nelle fabbriche.

Il ragazzo con il cuore d’oro fu la Farfalla Migrante, una Bella-Dame, la Vanessa Cardui che dovette viaggiare per vivere una qualità spirituale. Sebbene le farfalle muoiano hanno questa signorilità nello scendere pian piano, posarsi sulla terra e, mentre l’anima spira, proiettarsi verso l’eterno su un filo di luce infinita. E così sia!

Per gentile concessione dell’autrice, preso da salti.bz

 

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