Secondo l’ultimo rapporto dell’Altro Commissariato della Nazioni Unite per i Rifugiati queste persone superano ormai il numero di 51 milioni. Un popolo in fuga numericamente quasi pari agli italiani. Cifre imponenti che denunciano responsabilità storiche dell’Occidente e del suo colonialismo militare prima ed economico poi anche a distanza di decenni e la debolezza delle istituzioni politiche internazionali attuali e che dovrebbero quindi spingere alla formazione di una “grande coalizione” internazionale che affronti questo fenomeno nella sua complessità
Di Marco Pacciotti*
Si celebra oggi la Giornata mondiale del Rifugiato, una importante occasione di approfondimento e riflessione. Spero possa essere finalmente anche l’occasione per bandire la retorica e l’allarmismo che si fanno intorno a questo dramma. È ora più che mai necessario iniziare a raccontare la verità dei fatti, sicuramente drammatici per chi li vive direttamente ma non un pericolo per gli altri come qualcuno lascia intendere.
In questi giorni siamo tutti “travolti” dai mondiali di calcio e dalle notizie, spesso gossip, legati a questo evento. Fra le tante notizie indirettamente circolate, quella di un giovane calciatore che decide di arruolarsi volontario per andare a combattere. Le due righe che riportavano questa notizia, ci rimandano idealmente ai tanti conflitti che devastano interi Paesi o che negli anni scorsi ne hanno compromesso gravemente l’esistenza. In questi giorni è tornato in auge nei media l’Iraq, ieri lo erano la Nigeria e la Siria, prima ancora la Libia, la Somalia e via dicendo. Si potrebbero citare decine di paesi dove le guerre sono spesso l’ennesima sciagura che si somma a povertà endemica, carestie e persecuzioni di vario genere. Condizioni che rendono inevitabile migrare come unica alternativa alla sofferenza o alla morte. Chi è costretto a fare questa scelta traumatica di fuggire, viene definito asetticamente “migrante forzato”. Secondo l’ultimo rapporto dell’Altro Commissariato della Nazioni Unite per i Rifugiati queste persone superano ormai il numero di 51 milioni. Molti di questi si spostano dentro i confini nazionali, gran parte degli altri fuggono invece nei paesi confinati, nella speranza di poter un giorno riattraversare i confini per tornare, di questi infatti solo 1,2 milioni chiede asilo. Il ritorno è quasi sempre però una speranza destinata a rimanere tale, risulta infatti che solo 416 mila siano i profughi che nel 2013 sono riusciti a tornare a casa. Un popolo in fuga numericamente quasi pari agli italiani. Cifre imponenti che denunciano responsabilità storiche dell’Occidente e del suo colonialismo militare prima ed economico poi anche a distanza di decenni e la debolezza delle istituzioni politiche internazionali attuali.
Questi numeri dati da un’agenzia indipendente e autorevole come l’UNHCR dovrebbero quindi spingere alla formazione di una “grande coalizione” internazionale che affronti questo fenomeno nella sua complessità con risorse sufficienti e politiche mirate a rimuovere le condizioni che generano questa migrazione involontaria. Una politica internazionale fondata su pace e cooperazione, rimane a mio avviso l’approccio più efficace. Quando invece si è scelto, spesso in modo unilaterale da singoli paesi o da aggregazioni di nazioni, di intervenire militarmente i conflitti sono poi riesplosi dopo brevi periodi di apparente calma, come Iraq e Libia confermano. Esiste quindi una grande emergenza umanitaria planetaria, ma non è improvvisa né casuale e sicuramente non rischia di travolgere l’Europa e l’Italia in particolare. Una considerazione che dovrebbe spingerci tutti ad abbassare i toni allarmistici e ad affrontare le situazioni degli arrivi via mare in modo adeguato. Evitando di essere sempre “sorpresi “, mentre sono ormai oltre 15 anni che gli arrivi via mare sono una costante e come tale prevedibile nei periodi, negli approdi e nelle provenienze nazionali. Variano di anno in anno i numeri che oscillano per diversi fattori ma che comunque non sono da “esodo biblico” e non possono rappresentare una emergenza nè un pericolo invasione. Dei 53.700 finora arrivati in Italia, solo 23.000 intendono rimanere e non a tutti verrà riconosciuto il diritto di asilo. Una goccia nell’oceano se si pensa ai 534.000 presenti in Kenya o agli oltre 800.000 del Libano o ai 110.000 della vicina Germania. Questo non vuol dire che siamo fortunati o che il tema non esista, ma che finora l’approccio è stato sbagliato e ha trasmesso all’opinione pubblica italiana l’idea che fossimo sotto assedio, creando una percezione distorta del fenomeno. Una percezione in parte anche voluta per fini politici e costruita negli anni da forze che hanno avuto ruoli chiave nei governi degli ultimi 20 anni. Le stesse forze che si stracciarono le vesti per la tragedia del 3 ottobre a Lampedusa e che oggi criticano la missione “Mare Nostrum” per aver salvato decine di migliaia di persone. È giusto oggi chiedere che Mare Nostrum venga sostituita da Frontex come dispositivo europeo di intervento, definendo bene però la sua missione operativa e rafforzandone il carattere di intervento per il salvataggio e la protezione delle persone, cosi come è stato per la nostra missione che ha evitato il ripetersi di molte tragedie del mare.
Credo che nel semestre europeo a guida italiana, dovremo ridefinire la qualità e le modalità con cui l’Europa si fa carico di questa situazione. Sarà indispensabile rivedere il Regolamento di Dublino sull’asilo, ripensare Frontex come detto e aumentare le risorse comunitarie destinate alla accoglienza e inserimento degli asilanti, sostenendo cosi con più forza quei paesi UE come l’Italia toccati in prima battuta dagli arrivi. Dobbiamo però essere sinceri con noi stessi e dire che è giusto chiedere questo, ma è anche necessario che l’Italia faccia la sua parte e presto. La priorità credo che sia quella di armonizzare la nostra legislazione ai parametri europei in materia di diritto di asilo, mentre sul fronte culturale si avverte la necessità di interventi che permettano di raccontare e capire quanto accade da anni lungo le nostre coste, in modo diverso da come fino ad oggi è avvenuto. Si continua infatti a percepire il fenomeno come “straordinario”, inspiegabile nelle cause che lo determinano e minaccioso nei numeri.
Per ottemperare al primo punto, il nostro Governo è opportuno che recepisca nel suo insieme la Legge di Delegazione Europea 2013 bis, che permetterebbe a questo esecutivo di intervenire in futuro in modo congruo uscendo dal carattere emergenziale che invece ha contraddistinto finora l’azione dei precedenti esecutivi con un corollario inevitabile di sprechi di risorse e inefficacia nella accoglienza e integrazione dei rifugiati. Uno strumento legislativo utile per poter invece intervenire sull’aspetto prettamente culturale sarebbe l’istituzione di una giornata della memoria come richiesto dal “Comitato 3 ottobre” e che vede anche una nostra proposta di legge a firma Beni-Chaouki già depositata. Sarebbe un bel segnale e una occasione per avviare una riflessione approfondita sulle ragioni storiche, politiche ed economiche che portano alle migrazioni forzate. Un contributo significativo a promuovere una discussione di merito non ideologica, che aiuterebbe alla formazione di una diversa e migliore consapevolezza del fenomeno e delle sue implicazioni, riducendo cosi il rischio di continuare a leggere il fenomeno unicamente alla luce di una percezione distorta, fondata sulla ignoranza del tema e le speculazioni politiche di parte.
Mi auguro che il prossimo anno potremo celebrare la giornata mondiale del rifugiato avendo fatto anche noi qualcosa dei passi avanti nella giusta direzione e fuori dalla retorica e da ingiustificati allarmismi.
* L’autore è coordinatore del Forum Immigrazione del Pd