Una giovane albanese dovra essere ammessa all’esame a Milano. Asgi: “In Italia norme anacronistiche violano i principi di parità di trattamento”
Milano, 30 agosto 2013 – È albanese, ma ha la carta di soggiorno. Quindi grazie all’ordinanza di un giudice potrà provare, come se fosse italiana, a diventare consulente del lavoro.
È la vicenda di Lejda H. una cittadina albanese con permesso di soggiorno per lungosoggiornanti, laureata in Italia in Economia e Commercio, che dopo aver svolto un anno e mezzo di praticantato presso uno studio di consulenza del lavoro, aveva richiesto l’ammissione alle prove dell’ esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di consulente del lavoro, in programma i prossimi 3-4 settembre a Milano.
La Direzione regionale della Lombardia del Ministero del Lavoro, tuttavia, le aveva comunicato l’esclusione dalle sessioni di esame sulla base di una legge del 1979. Questa riserva l’esercizio della professione di consulente del lavoro ai soli cittadini italiani ovvero ai cittadini di Stati dell’Unione europea o di Stati terzi nei cui confronti vige una condizione di reciprocità, non sussistente con l’Albania.
La cittadina albanese, racconta una nota dell’Associazione Studi Giuridici per l’Immigrazione, aveva dunque presentato, con l’assistenza legale degli avvocati Alberto Guariso e Giuseppe Catapano di Milano, un ricorso dinanzi al giudice del lavoro di Milano che ha ordinato al Ministero del Lavoro di ammettere con riserva la cittadina albanese alla prove dell’esame di Stato.
Secondo il giudice del lavoro di Milano, ai cittadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno per lungosoggiornanti deve essere garantita la parità di accesso al lavoro per quanto riguarda l’esercizio delle attività lavorative subordinate o autonome, con la sola eccezione di quelle attività che implichino anche solo in via occasionale la partecipazione all’esercizio di pubblici poteri. Questo sulla base di quanto sancito dall’art. 11 comma 1 della direttiva europea 109/2003 sui lungo soggiornanti che, in quanto norma di diritto europeo, deve prevalere sulle normative nazionali eventualmente ad essa incompatibili, come nel caso della normativa nazionale sui requisiti per l’ammissione alla professione di consulente del lavoro.
“In Italia – sottolinea l’Asgi – continuano ancor oggi a trovare applicazione, illegittimamente, normative desuete ed anacronistiche chiaramente in violazione delle norme europee. Solo a fronte della possibile apertura di una procedura d’infrazione da parte della Commissione europea dinanzi alla Corte di Giustizia europea per violazione degli obblighi derivanti dal diritto europeo, la legge recente ‘europea 2013’ che entrerà in vigore il 4 settembre prossimo, ha finalmente pienamente riconosciuto ai cittadini di Paesi terzi lungosoggiornanti, ai rifugiati e titolari di protezione sussidiaria, ai famigliari di cittadini dell’Unione europea e italiani, il diritto di partecipare ai concorsi pubblici”.
“Molte imprese del trasporto pubblico locale – segnala ancora l’associazione – continuano ad applicare una norma risalente alla ‘legge delle corporazioni’ del 1931 che prevede il requisito della cittadinanza italiana per l’assunzione di personale, impedendo così agli stranieri di Paesi terzi non membri UE, residenti anche da lungo tempo in Italia, di essere assunti come conducenti degli autobus oppure meccanici “.
L’ASGI chiede quindi che “finalmente sia operata una verifica completa della conformità della legislazione vigente agli obblighi di parità di trattamento previsti dalla normativa europea per eliminare le norme che limitano le effettive possibilità di inserimento sociale dei cittadini di Paesi terzi residenti in Italia”.