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Il Papa: “Apriamo i conventi chiusi per i rifugiati”

Il Pontefice al Centro Astalli: “A cosa serve tenerli così? Dovrebbero servire alla carne di Cristo e i rifugiati sono la carne di Cristo”

Roma, 11 settembre 2013 – “Grazie, perché difendete la vostra e la nostra dignità umana”. È questo il concetto che Papa Francesco ha espresso, rivolgendosi direttamente agli ospiti del Centro Astalli, la struttura gestita dai Gesuiti che a Roma accoglie e assiste immigrati, soprattutto profughi e rifugiati, durante l’incontro durato circa un’ora e mezzo sentendo direttamente da loro le storie di violenza, guerra, privazione che hanno vissuto.

Il Papa, secondo quanto riferiscono alcuni presenti – in quanto la visita si è svolta in forma riservata, senza la presenza di telecamere e giornalisti – ha anche espresso critiche sui conventi chiusi: “A cosa serve tenerli così? Dovrebbero servire alla carne di Cristo e i rifugiati sono la carne di Cristo”. Il Papa ha poi voluto sottolineare la necessità che non basta limitarsi a una forma di elemosina, di garantire a ciascuno “un panino”, ma occorre accompagnare con gesti concreti il percorso di integrazione di immigrati, profughi e rifugiati.

“Non dobbiamo avere paura delle differenze!”. E’ l’esortazione lanciata da Francesco. “Ognuno di voi porta una storia di vita che ci parla di drammi, di guerre, di conflitti, spesso legati alle politiche internazionali – sottolinea il Papa – ma ognuno di voi porta soprattutto una ricchezza umana e religiosa, una ricchezza da accogliere e non da temere. Molti di voi -osserva- sono musulmani o di altre religioni e vengono da vari Paesi e da situazioni diverse. Ma non dobbiamo avere paura delle differenze: la fraternità ci fa scoprire che sono una ricchezza e un dono per tutti”.

Denuncia Francesco: “Roma dovrebbe essere la città che permette di ritrovare una dimensione umana, di ricominciare a sorridere. Quante volte, invece, qui come in altre parti, tante persone che portano scritto ‘protezione internazionale’ sul loro permesso di soggiorno, sono costrette a vivere in situazioni disagiate, a volte degradanti, senza la possibilità di iniziare una vita dignitosa e di pensare a un nuovo futuro!”.
 

 

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