Di Adela Kolea
Oggigiorno si sente parlare sempre più spesso di interculturalità, intesa come scambio di rapporti e dialoghi tra varie culture nel mondo, lingue, etnie, usi, costumi ecc, determinati da vari fattori.
Nel mio caso, in maniera totalmente naturale e spontanea, l’interculturalità, come concetto e come sostanza, ha sempre convissuto con me, dentro di me. Anzi, io sono nata dall’intercultura, ne sono una sua creazione.
A cosa è dovuto questo? Semplicemente alle mie origini miste.
Le origini noi non le scegliamo. Non scegliamo i genitori, i nonni e bisnonni, i nostri antenati. Non scegliamo nemmeno il nostro nome e cognome, a meno ché uno, in età adulta, per propria scelta, non decida di cambiarli.
Ecco, da qui nasce il mio ragionamento sulle nostre origini, o meglio dire in senso più ristretto, su quelle mie.
Mi definisco una persona che sembra essere nata sulla linea di una frontiera.
Perché? Semplice: le mie due nonne erano straniere. La nonna paterna era napoletana, quella materna era turca di Smirne, ma cresciuta in Grecia, a Salonicco.
I miei due nonni erano albanesi.
I loro percorsi di vita sono stati diversi nei dettagli, ma uniti da questo comune denominatore: due uomini albanesi, miei nonni, che sposano due donne straniere.
Il nonno paterno era studente a Napoli negli anni ’20 e lì ha conosciuto colei che sarebbe diventata mia nonna ed avrebbe vissuto tutta la sua vita in Albania, nella terra natale del suo marito.
Il nonno materno, sempre negli anni ’20, partecipava ad un matrimonio di parenti a Himarë, nel Sud dell’Albania. Lì, tra gli ospiti per il matrimonio, alcuni erano arrivati dalla vicina Grecia, tra cui, anche una bella ragazza turca,bionda dagli occhi azzurri. Si innamorano subito, un colpo di fulmine, la ragazza aveva soli 18 anni. Mentre i suoi parenti – tutti ospiti al matrimonio – dopo il matrimonio fecero ritorno a casa, in Grecia, lei non li seguì: rimase in Albania con il suo innamorato, mio nonno. Lei dunque sarebbe diventata mia nonna!
Io sono nata in questa famiglia di origini miste e sono sempre rimasta affascinata dalle storie di vita dei miei nonni.
C’è un altro particolare molto importante: dentro questa convivenza, vi abitava un’altra di convivenza, quella religiosa.
La nonna materna era musulmana e quella paterna cattolica.
Nonostante la proibizione della pratica della fede a causa della dittatura, loro coltivavano le loro credenze in silenzio, e sempre in silenzio, sotto voce, dicevano le loro rispettive preghiere. Io sentivo da un lato, il Padre Nostro, e dall’altro, i versi del Corano.
Le due comare si sono sempre intese bene devo dire, nonostante avessero delle diversità di origini, carattere, formazione e temperamento. Ma la cosa che io ho apprezzato da loro è stata la preservazione delle loro caratteristiche di origine. Solitamente, quando si vive in un paese straniero, col tempo, abbandoni pian piano delle tue usanze, e ti inserisci a quelle del paese ospitante, volente o nolente. Io intanto, dalla loro comunicazione, assorbivo tutto.
Inoltre, da un lato la nonna turca mi preparava il byrek, quella italiana mi preparava i panzerotti.
E da qui nasce la mia “intercultura”, quella proprio interna, innata, di cui parlavo all’inizio. In maniera involontaria, ma completamente naturale, io percepivo – dentro un’unica lingua, l’albanese che loro due parlavano, ognuna con un accento diverso, nonostante un’intera vita trascorsa in Albania, il loro accento aveva qualcosa di speciale – suoni e timbri linguistici diversi. Da qui forse nasce la mia passione per le lingue.
Sentivo parole, racconti, pezzi di vita, che rimanevano dentro di me, avvolte nella mia pelle mentale. La mia divenne, a mia insaputa, una modesta riflessione antropologica: immagazzinavo dentro me ogni dettaglio da questo misto di provenienze e origini, a cui devo tutto il mio arricchimento interiore.
È forse questo il motivo che, da adolescente, avvertivo non solo questa voglia sfrenata di imparare le lingue, un po’ dettatami dal contesto familiare ed il multilinguismo applicato a casa, ma anche perché volevo trasmettere le mie conoscenze linguistiche, soprattutto quelle di italiano e francese, ai bambini albanesi ed anche agli adulti perché no. Per cui, al mattino andavo al liceo, e al pomeriggio andavo a lavorare presso il “Pallati i Pionierëve”, un centro di aggregazione giovanile dove si insegnavano diverse discipline extracurricolari, tra cui c’erano i corsi delle lingue: insegnavo italiano e francese ai bambini. E lo facevo con molta passione. Iniziai a collaborare con i giornali più importanti di Tirana, traducevo articoli dall’italiano.
Se uno mi chiedesse:
“Sei albanese, in cosa?”
Risponderei che sono albanese nella determinazione, nell’orgoglio, nella capacità di rapportarmi in maniera empatica con il prossimo e di immedesimarmi in lui, da dove ne deriva anche il senso di ospitalità nei suoi confronti.
“Italiana, in cosa?”
Risponderei che sono italiana nell’affabilità verso il prossimo, nella capacità di accoglienza, nella cultura dei gusti del modo di comunicare, mangiare e vestire. Lo sono anche nei miei lineamenti fisici mediterranei, assomigliando tantissimo alla nonna napoletana.
“Turca in cosa?”
Risponderei che sono turca nei colori. Amo troppo i colori accesi, li considero una carica positiva e rilassante. La mia nonna turca se la prendeva con noi nipoti che ai tempi, per “moda”, vestivamo di scuro. Ci consigliava di indossare abiti molto colorati, così come i colori che portava nel suo foulard che metteva in testa. Non era un foulard religioso, ma un accessorio proprio inseparabile, tipicamente suo. Con fiori o disegni geometrici, rigorosamente colorati.
Lei era una grande fumatrice, ma devo dire che in questo non ho assomigliato a lei. Io non fumo.
“Greca – luogo dove la nonna turca è cresciuta – in cosa?”
Risponderei che sono greca nei sapori, nei profumi.
Insomma, la personalità di una persona penso sia influenzata da vari fattori, tra cui il gene è fondamentale, ma soprattutto, l’ambiente circostante in cui ci si cresce, è determinante.
A distanza di tempo, non so se chiamarla “ironia della sorte”, ma così come le mie due nonne vissero da emigranti tutta la loro vita in Albania, la ruota del destino ha portato me e la mia famiglia a vivere in Italia. Paese che sento mio in parte, sentendomi a casa dal primo giorno in cui vi ho messo piede. Avevo 18 anni. Come l’età delle mie nonne, quando anche loro hanno lasciato le loro terre, per trasferirsi in Albania.
Mi sentii a casa, non solo perché l’Italia, paese d’origine di una delle nonne, conoscevo già la lingua, la cultura, ma perché mi ero già – forse inconsapevolmente – preparata a questa apertura mentale dell’emigrazione.
L’emigrazione e l’intercultura sono sempre state mie compagne di viaggio. Diciamo che senza farci caso, ho rubato un po’ dal loro bagaglio di usi e costumi e li ho fatti miei, preservando sempre ciò che l’Albania mi ha regalato anch’essa.
Mi sento semplicemente privilegiata ed arricchita da questa eredità, unica nel suo genere.