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L’Itinerario dell’integrazione albanese

Convegni come “Itinerario albanese: dall’emigrazione in Italia all’integrazione europea” possono essere ottimi palcoscenici per rappresentare il cammino della comunità albanese in Italia, il suo valore aggiunto che apporta alla crescita dell’Italia e dell’Albania. Una comunità che evolve e che meriterebbe più attenzione da tutti e due i paesi

Il 29 gennaio si è tenuto a Roma un interessante convegno intitolato “Itinerario albanese: dall’emigrazione in Italia all’integrazione europea”. Organizzatori erano l’Associazione culturale italo-albanese Occhio Blu – Anna Cenerini Bova e l’Agenzia Internazionale di Negoziato e Mediazione EPOS, in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica d’Albania in Italia e il Centro Studi e Ricerche IDOS, con il sostegno della Fondazione Migra. Partecipavano anche Pandeli Majko, Ministro per la Diaspora dell’Albania, Elly Schlein, vicepresidente della Delegazione alla commissione parlamentare di stabilizzazione e di associazione (SAPC) UE-Albania, e tanti altri esponenti di spicco della politica e cultura albanese e italiana.

Il convegno era suddiviso in tre sessioni, il primo dei quali chiamato “Il contributo dell’emigrazione albanese alla società italiana”. E’ stata sicuramente la sessione più ricca di dati e spunti statistici, alcuni dei quali vale ricordare. A fine 2017 la comunità albanese in Italia elenca 441.838 cittadini residenti in Italia, con la parte del leone nelle regioni Lombardia, Toscana ed Emilia – Romagna. Gli occupati della comunità sono il 52.6%, i disoccupati 20.4%. La maggior parte (29%) sono impiegati nel settore delle costruzioni. Negli ultimi tre anni circa 100.000 albanesi hanno preso la cittadinanza italiana. Purtroppo gli albanesi detengono anche una cifra poco edificante: i minori stranieri non accompagnati dall’Albania sono 1.630, quarta forza in Italia di questa comunità diseredata. Tra loro l’86.5% hanno più di 16 anni. Le rimesse certificate degli albanesi verso l’Albania per il 2017 sono dell’ordine di 124 milioni di euro.

Nella definizione del ministro Majko la diaspora albanese in Italia rappresenta una delle esperienze di successo più rimarchevoli della emigrazione dell’Europa Orientale.

La comunità albanese si è ben integrata in Italia. Esistono ovviamente molti esempi di successo, come esistono tantissime storie di “ordinaria” quotidianità riuscita che pur non essendo note al grande pubblico, sono quelle che determinano oggi quello che chiamiamo buona integrazione. Esiste però anche un non poco ben nutrita – viste le modeste dimensioni geografiche e demografiche dell’Albania rispetto all’Italia – comunità italiana nel Paese delle Aquile, che conta al suo interno 16000 lavoratori dipendenti. Tra i due paesi esiste uno stretto partenariato politico (Roma è uno dei più grandi avvocati dell’adesione di Tirana nell’Unione Europea) e economico.

Il sociologo Rando Devole ha parlato del contributo variegato della migrazione albanese e delle migrazioni in generale alla società italiana. Da un lato, considerare e trattare l’immigrazione come una questione straordinaria e con un approccio emergenziale non porta a nulla, perché l’immigrazione è ormai un fenomeno strutturale, quindi parte integrante del sistema Italia, nella società, nell’economia, nella cultura e nella quotidianità; dall’altro lato l’assenza di politiche attive da parte del Paese di origine, a favore dei cittadini albanesi, non ha valorizzato le loro potenzialità e non ha facilitato il loro percorso nei paesi di arrivo, dove questioni di carattere identitario e culturale, ma anche il diritto di voto, la tutela sociale, ecc. sono ancora da affrontare.

Il regista Roland Sejko, autore del lungometraggio di successo “Anija/La nave”, si è soffermato sull’aspetto umano della relazione italiani – albanesi, rimarcando che l’approfondimento della conoscenza dell’Albania negli ultimi anni ha cambiato in positivo la percezione degli italiani verso il nostro paese.

La sessione due ha trattato le “Migrazioni di rientro”. Interessantissima la relazione di Sonila Alushi, presidente della “Fondazione Migra”. Incentrato sul concetto di migrazione circolare (definizione: “il movimento fluido delle persone tra i Paesi che può essere utile a tutti i soggetti coinvolti se avviene volontariamente e se legato alle esigenze del mercato del lavoro dei paesi di origine e destinazione”), l’intervento ha sottolineato come il possesso di documenti di soggiorno di lunga durata dagli albanesi e la loro buona conoscenza dell’italiano favorisce l’interscambio non solo fisico e lavorativo ma anche quello culturale tra le due sponde dell’Adriatico. Inoltre. le numerose associazioni albanesi in Italia abbattono un concetto che vorrebbe gli albanesi poco inclini alla socialità. Offrendo, per esempio, l’istruzione nella madrelingua assolvono una funzione insostuibile nello preservamento della lingua e della cultura albanese.

La sessione tre del convegno si intitolava “Albania e Europa”. Si è, in effetti, nell’attesa che a cavallo tra primavera e estate l’UE dia la luce verde all’inizio dei negoziati di adesione di Tirana nell’Unione. Esmeralda Hasani, consigliere del ministro Majko e docente del diritto europeo, ha rimarcato la voglia di Europa degli albanesi. Nicola Pedrazzi, ricercatore di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, ha rilevato due criticità della recente storia politica albanese: il fatto che le modifiche costituzionali del 21 luglio 2016 (riguardanti il sistema di giustizia) siano passate all’unanimità senza dibattito e siano state praticamente imposte dalla comunità occidentale al paese e l’alta astensione alle elezioni politiche di 7 mesi fa. In effetti, il mancato diritto di voto per gli albanesi residenti all’estero ha influito in questa bassa affluenza.

È arrivato il tempo che la comunità albanese rinforzi i legami tra di sè e poi anche con la madrepatria. In questo senso l’ottenimento del diritto di voto sarebbe un collante. Un collante sarebbero anche altri utili convegni come questo, palcoscenici per rappresentare una comunità che cambia, il suo valore aggiunto che apporta alla crescita dell’Italia, e che vuole approcciarsi all’Albania (anche questo in fase di dinamico cambiamento) in un senso più collaborativo anche in ambito politico dopo che le rimesse dell’immigrazione hanno mantenuto in vita per due decenni il tessuto sociale albanese.

Gjergji Kajana
Dottore in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali

 

 

 

 

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