Con il decreto Salvini, la cittadinanza italiana diventa più difficile, più cara, più lontana, ma anche precaria.
Uljana Gazidede (AAI): “Le restrizioni in materia di cittadinanza introdotte dal decreto colpiscono persone che sono ad un passo dal divenire cittadini. Non rendono più sicura l’Italia, ma soltanto più difficile e tortuosa la piena integrazione degli immigrati”
Da alcuni mesi in vigore, il cosidetto decreto Salvini (ormai legge), tra le altre cose, rende ancora più tortuoso il percorso verso la cittadinanza italiana, colpendo così, in nome della sicurezza dell’Italia, proprio gli immigrati con la migliore integrazione. Perché chi arriva a chiedere di diventare cittadino a pieni diritti e doveri, nella maggior parte dei casi vive Italia da oltre un decennio, oppure qui è nato e/o cresciuto. Difficile capire perché un italiano si dovrebbe sentire più sicuro se a un immigrato gli si chiede di pagare non più 200 ma 250 euro come contributo per la presentazione delle domande oppure che la sua domanda venga evasa non più in due anni (già lunghi e in pratica molto spesso ampiamente superati) ma in ben 4 anni. Inoltre è difficile capire la costituzionalità del trattamento diverso, per determinati reati, tra chi italiano è nato e chi la cittadinanza l’ha acquisita.
Raddoppia il termine di conclusione del procedimento di cittadinanza
Un punto della legge sulla cittadinanza modificato (in peggio) dal decreto Salvini è il tempo di attesa della lavorazione delle pratiche. Infatti, il decreto prolunga da 2 a 4 anni il termine per la conclusione dei procedimenti di concessione della cittadinanza sia per residenza sia per matrimonio.
Per le istanze di concessione per matrimonio viene cancellato il principio di silenzio-assenso (trascorsi i due anni, le domande di cittadinanza per matrimonio non potevano essere più rifiutate). D’ora in poi, anche con il decorso dei 4 anni, le domande per matrimonio potranno sempre essere rigettate.
Il nuovo termine di 4 anni ha effetto retroattivo, non è valido solo per le nuove domande ma anche per tutte le pratiche già presentate e non ancora concluse.
4 anni di attesa – dopo aver dimostrato di avere oltre 10 anni di residenza continuativa in Italia, fedina penale pulita, reddito negli ultimi 3 anni adeguato per mantenere la famiglia, ecc. – sono veramente troppi e ingiustificabili.
E non solo, il prolungamento del termine della definizione della domanda finisce per colpire anche i figli minori dell’immigrato che richiede la cittadinanza. Per la semplice ragione che se un genitore ottiene la cittadinanza, la ottengono di diritto anche i suoi figli minori residenti presenti nello stato di famiglia, ma se la cittadinanza del genitore si rimanda di qualche anno, i figli – sempre più spesso nati in Italia – crescono, diventano maggiorenni e la cittadinanza non la possono più ottenere in automatico.
“Siamo stati costretti ad allungare i tempi – ha spiegato il ministro Salvini – per l’alto numero di domande (circa 300mila): fatichiamo a smaltirle anche per i numerosi casi di documenti contraffatti”.
“Il prolungamento da 24 a 48 mesi del termine di conclusione dei procedimenti di cittadinanza – controbatte avv. Uljana Gazidede, presidente dell’associazione Avvocati Albanesi in Italia – è una previsione che va a ledere i diritti dei possibili nuovi cittadini italiani, sospendendo il loro percorso di integrazione e scaricando su di loro le difficoltà dello Stato a concludere celermente le procedure amministrative per la concessione di questo fondamentale diritto. Un diritto del quale si può usufruire, è importante ricordarlo, solamente dopo 10 anni di residenza legale e continuativa in Italia”.
La richiesta della cittadinanza costa più di prima
Istituito con un altro provvedimento del 2009, sempre da un ministro leghista, e sempre nell’ambito di un pacchetto per la sicurezza, l’importo del contributo della domanda della cittadinanza, grazie al decreto Salvini aumenta del 25%. Infatti, i 200 € di contributo per le istanze di cittadinanza previsto dal cd pacchetto sicurezza (legge 15 luglio 2009, n.94) voluto dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, con il decreto di Salvini diventano ben 250 €. Bastano poche parole: “all’articolo 9 -bis, comma 2, le parole «di importo pari a 200» sono sostituite dalle seguenti «di importo pari a 250»” per rendere più onerosa a centinaia di migliaia di persone un’importantissima istanza.
Test di lingua
Un altro paletto viene introdotto all’ultimo momento, mentre il decreto veniva convertito in legge in Parlamento. Chi chiede la cittadinanza deve dimostrare di conoscere la lingua italiana non inferiore al livello B1 del QCER (Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue). I richiedenti lo dovrebbero dimostrare con il possesso di un titoli di studio rilasciato da un istituzione pubblico o paritario di istruzione oppure con una certificazione della lingua italiana rilasciata da un ente riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione o dal Ministero degli Affari Esteri.
Comunque vengono esclusi tutti coloro che hanno sottoscritto l’accordo di integrazione e i titolari di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, che costituiscono, per la verità, la maggior parte dei richiedenti della cittadinanza italiana.
Revoca della cittadinanza
Con il cosidetto decreto Salvini si introduce per la prima volta l’istituto della revoca della cittadinanza per gravi reati contro la sicurezza nazionale e nell’ambito del terrorismo. Ma soltanto per chi non è nato italiano differenziando così gli italiani in cittadini di serie A (i nati italiani) e cittadini di serie B che italiani lo sono diventati. Ed oltre a discriminare, trattando in modo diverso i cittadini per lo stesso reato, la revoca della cittadinanza potrebbe portare a casi di apolidia calpestando così convenzioni internazionali.
Ci spiega in modo molto dettagliato le criticità di questo punto l’avvocato Gazidede: “Si prevede la revoca della cittadinanza a chi l’abbia ottenuta perché nato e legalmente residente in Italia fino ai 18 anni, coniuge di cittadino italiano, straniero figlio di italiano, straniero adottato da italiano, straniero che abbia prestato servizio allo Stato, straniero CEE residente da 4 anni, apolide da 5 e straniero da 10, nell’ipotesi in cui tali soggetti siano riconosciuti colpevoli in via definitiva di taluni gravi reati.
Si creano quindi due categorie di cittadini: quelli per nascita, ai quali può essere revocata solo ove vi rinuncino – ma deve avere un’altra cittadinanza – o in caso di incompatibilità, ad esempio quando si presta servizio per un altro Stato, ipotesi nelle quali, comunque, lo Stato intima il cittadino a decidere o desistere; quelli che l’hanno acquisita, per i quali non è prevista intimazione, ma una revoca che viene disposta unilateralmente.
L’acquisto della cittadinanza, dovrebbe consentire al suo titolare di esercitarne i diritti che ne conseguono in maniera piena e incondizionata, al pari dei cittadini per nascita, mentre l’introduzione della revoca, per i soli stranieri divenuti cittadini, presenta profili di incostituzionalità ai sensi dell’art. 3, comma 1 Costituzione, poiché si trattano in modo diverso situazioni oggettivamente simili. Come ogni altro cittadino, anche lo straniero divenuto cittadino italiano, se ha commesso un reato dovrà espiare la pena relativa.
Infine si evidenzia che i reati indicati a tal scopo si prestano ad avere connotazioni di tipo politico ad es. l’eversione dell’ordinamento costituzionale di talché la revoca della cittadinanza, in questo caso, potrebbe costituire violazione dell’art. 22 Costituzione che vieta la privazione, per motivi politici, “della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”.
Oltretutto si rileva che la proposta rischierebbe di generare apolidi, giacché anche il soggetto privo di altra cittadinanza – magari persa proprio in ragione dell’acquisizione di quella italiana -, nelle ipotesi indicate, si vedrebbe privato dell’unica che possiede. Tale previsione è in aperto contrasto con il divieto di nuova apolidia previsto dall’art. 8, c. 1 della Convenzione sulla riduzione dell’apolidia adottata il 30 agosto 1961, a cui l’Italia ha aderito e dato esecuzione con legge 29 settembre 2015, n. 162. 9”.
Keti Bicoku
Shqiptari i Italisë
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