1,2 milioni di immigrati senza lavoro o costretti a precariato e con meno diritti. Più di 45% degli immigrati lascerebbe l’Italia
Roma, 2 ottobre 2013 – Agli ultimi dati ISTAT che parlano di tassi altissimi di disoccupazione generale e specialmente tra i giovani, 12,2% il primo e 40,1% il secondo, si aggiungono oggi quelli di CGIL che dicono che oltre 45% degli immigrati stanno per lasciare l’Italia.
È uno dei risultati più clamorosi della ricerca “L’impatto della crisi sulle condizioni di vita e di lavoro degli immigrati” presentata a Roma, condotta da CGIL e l’associazione Trentin-Isf-Ires.
La ricerca consiste in due parti, la prima un’elaborazione dei dati ISTAT e l’altra in un’indagine per vedere gli effetti della crisi, sia su un piano più strettamente lavorativo che su quello legato alla vita sociale e ai processi d’integrazione. Per la seconda parte sono state intervistate 1.065 persone migranti, in 10 regioni italiane provenienti da 76 paesi diversi.
Quello che viene fuori dalla ricerca, tramite la mappatura della “sofferenza” e del “disagio” lavorativo, è che gli immigrati stanno pagando la crisi più cara che gli italiani, che per via della crisi stanno mettendo in dubbio o cambiando il loro progetto migratorio. Inoltre la ricerca dimostra che nell’Italia della crisi, aumenta la discriminazione e peggiora l’integrazione.
Elaborazione dati ISTAT: Oltre 1,2 milioni di immigrati vivono la sofferenza o il disagio lavorativo
Secondo i dati Istat relativi alla media delle forze di lavoro del 2012 i lavoratori immigrati rappresentano il 10,2% del totale degli occupati e si concentrano soprattutto in alcuni settori: Servizi collettivi e alla persona (37,4%), Costruzioni (18,9%), Turismo (16,5%), Agricoltura (13,5%), Industria (9,5%) e Trasporti (9,2%).
Nel tentativo di misurare la consistenza reale del non lavoro, di contare, in altre parole, gli esclusi dal mondo del lavoro, è stata definita area della sofferenza quella fetta di popolazione in età da lavoro (15-64 anni) formata da disoccupati, scoraggiati disponibili (vale a dire le persone che non cercano lavoro perché ritengono di non trovarlo e comunque disponibili a lavorare) e occupati in cassa integrazione guadagni (che hanno lavorato meno o non hanno lavorato affatto nella settimana di riferimento perché in cassa integrazione). Nello specifico, gli immigrati in “sofferenza” sono oltre 527 mila (13,7%) e gli italiani quasi 3 milioni e 800 mila (10,6%). Rispetto al 2011 i primi sono cresciuti di 101 mila unità (con una variazione percentuale del +23,7%.) e i secondi di 670 mila (+21,4%). Accanto alla sofferenza di chi non lavora, è stato anche considerato il disagio di chi lavora sotto condizioni diverse da quelle auspicate: è l’area del “disagio occupazionale”, la platea degli under 65 formata da quanti hanno un’occupazione a termine (dipendenti e collaboratori) perché non hanno trovato un lavoro a tempo indeterminato e dai part timer involontari (occupati a tempo parziale perché non hanno trovato un lavoro a tempo pieno). In termini di valore assoluto gli immigrati in età da lavoro in “disagio” sono oltre 706 mila (18,4%) e rispetto all’anno precedente sono cresciuti di 90 mila unità (+14,5%.) mentre gli autoctoni sono oltre 3 milioni e 400 mila (9,5%) e sono aumentati di 220 mila unità (+6,9%).
Inoltre, nel 2012 la differenza tra la retribuzione media di un dipendente immigrato e quella di un dipendente italiano è pari a -346 euro (-27,2%). Se si escludono i contratti a tempo parziale (part time), il differenziale retributivo risulta leggermente più contenuto (-326 euro, pari -22,8%). Nel corso dell’ultimo anno, peraltro, la forbice tra le retribuzioni medie si è allargata (di 25 euro e 2 punti percentuali), a dimostrazione ulteriore del terribile impatto che la crisi continua ad avere sui lavoratori migranti.
Indagine sugli effetti della crisi per i lavoratori immigrati: 45,6% degli immigrati lascerebbero l’Italia
L’85% degli intervistati afferma che la crisi ha apportato dei peggioramenti nella condizione lavorativa. La risposta più frequente alla domanda “quali sono stati gli effetti della crisi sul tuo lavoro?” è stata che le retribuzioni si sono abbassate (31,5%). Il dato è reso ancora più esplicito dal fatto che la seconda risposta più gettonata è che sono diminuite le giornate di lavoro (25,5%). Ma se da una parte il lavoro sta diventando meno retribuito e più discontinuo, dall’altra le condizioni di lavoro si fanno più rischiose (19,1%) e gli orari più lunghi (22,2%). Inoltre una parte degli intervistati sente che la crisi sta provocando una più generale perdita dei diritti (12,8%) e aumentando il ricorso al lavoro irregolare (12,1%).
La crisi oltre ad avere avuto un forte impatto sul lavoro, sta producendo dei cambiamenti importanti anche in altri aspetti della vita dei migranti. Il 94% degli intervistati ha dichiarato che la crisi ha portato dei cambiamenti nel loro modo di vivere.
Tre in particolare sono le strategie di risposta registrate dalla nostra indagine: uno prettamente economico, uno legato al lavoro e uno legato alla sostenibilità dello stesso progetto migratorio. Il primo effetto, quello di natura economica, raccoglie complessivamente il 76,3% delle risposte ed è composto dalla riduzione dei consumi (62,3%) e il bisogno di chiedere un prestito (14%). Le ricadute sul lavoro (oltre a quelle che abbiamo già analizzato in precedenza) riguardano la necessità di accettare qualsiasi tipo di lavoro (23,5%) e quello di dover fare più lavori (12,7%). Infine il dato sul cambiamento del progetto migratorio raccoglie complessivamente il 44% delle risposte ed è composto dalla impossibilità di inviare le rimesse ai familiari nei paesi d’origine (16,8%), dai mancati processi di ricongiungimento (11,9%), dal fatto che parenti stretti siano stati costretti ad emigrare nuovamente (9,4%) e, infine, dall’esigenza di far lavorare membri della famiglia che altrimenti non avrebbero lavorato (5,9%). Inoltre alla domanda diretta “vista la condizione attuale, pensi di dover emigrare ancora?”, hanno risposto in maniera affermativa il 45,6% degli intervistati. Quasi un immigrato su due, dunque, pensa di dover affrontare una nuova migrazione.
Una volta preso atto delle condizioni occupazionali degli intervistati e degli effetti che la crisi ha avuto sulla loro attività lavorativa, la nostra indagine si è posta l’obiettivo di capire quali siano i maggiori timori legati a questo difficile momento congiunturale. Il primo dato di grande interesse è che solo il 2,3% degli intervistati ha dichiarato che non è spaventato dalla crisi. In generale la grande paura degli immigrati è quella di perdere o non trovare lavoro (80%). Il tema del lavoro viene ripreso anche sotto altri aspetti: da un lato c’è una percentuale pari al 16,5% delle risposte che indica la paura di dover lavorare in condizioni peggiori (ulteriore allungamento dell’orario, rischi per la salute, ecc..), dall’altro il 10% circa teme di dover lavorare in nero. È interessante notare, come le paure più legate alla sfera dei diritti e dell’integrazione siano meno sentite. Circa il 10% delle risposte riguarda il timore di diventare più ricattabili e quindi far valer meno i propri diritti, così come poco meno del 10% delle risposte indicano il timore di una recrudescenza del razzismo o della xenofobia. In definitiva, appare ancora una volta evidente, come il lavoro sia la pietra angolare su cui si costruisce ogni progetto di vita e pertanto ogni progetto migratorio.
“Più disoccupati, più sottopagati e sfruttati, più irregolari”
“Peggiorano sensibilmente nella crisi le condizioni in cui versano i lavoratori migranti” commenta il presidente dell’Associazione Trentin, Fulvio Fammoni. “Questi dati non solo sono gravi e significativi per quanto riguarda la condizione dei migranti ma anche perché in controluce mostrano un sistema produttivo arretrato. Senza contare come questa ‘emorragia’ incida negativamente sul livello generale dei consumi”.
Secondo Vera Lamonica, segretario confederale della Cgil, la ricerca “mette il dito in una delle piaghe della condizione sociale nel nostro Paese. I lavoratori e le lavoratrici migranti pagano gli effetti della crisi in maniera pesante: sono più disoccupati, più sottopagati e sfruttati, più irregolari”.
Per uscire da questa situazione, giunge la sindacalista, servono “politiche generali che affrontino davvero il tema del lavoro e dell’occupazione” e “una riflessione generale su come intervenire anche dal punto di vista normativo per impedire che cresca ulteriormente il campo dell’economia sommersa e che gli effetti della crisi ci consegnino un paese privo di ogni speranza di futuro positivo”.