Di Klodiana Çuka*
La ricorrenza dell’indipendenza dello Stato Albanese cade in questo anno “horribilis” della pandemia globale e a distanza di un anno dal duro terremoto che provocò forti danni umani e materiali soprattutto nella regione di Durazzo. Eventi che hanno piegato i corpi e lo spirito di tutti ma non certo spezzato la tenacia e la resilienza del Paese delle Aquile.
Il fortissimo vincolo che lega la stessa Diaspora albanese nel mondo verso la Madre Patria resta intatto, al di là dei legami del tempo e dello spazio, pur con la conquista della doppia cittadinanza di Paesi fratelli come l’Italia.
Qui da decenni si è inserita una comunità operosa e orgogliosa delle proprie origini che, spesso, con enormi sacrifici non solo vi si è affermata a pieno titolo ma, altresì, ha preservato e difeso la propria cultura millenaria. Infatti, in tutto il Sud Italia, dall’Abruzzo alla Puglia, Calabria e Sicilia, sono restate vive centinaia di comunità “arbëreshe”, arrivate lì da secoli, dopo la morte del nostro Eroe nazionale, Giorgio Castriota Skanderbeg.
Ancora oggi loro sono i custodi della nostra storia, tradizioni, costumi e lingua antica, che vanno gelosamente preservati e integrati con le nuove comunità albanesi che sono divenute la seconda nel nuovo Paese di adozione.
Su questa linea si è voluto costruire, da parte di chi scrive, l’esperienza quasi ventennale di Integra Onlus e, ora, anche della nuova Fondazione albanese “Bridge For Future”, entrambe da me fondate e presiedute.
Un percorso che deve unire il passato ed il futuro, attraverso l’impegno del presente di tutti, nella nuova prospettiva di pacificazione e crescita dei Balcani, con l’ingresso prossimo nell’Unione Europea.
In tal senso l’esempio albanese ha un rilievo originale, come sottolineato da tanti studiosi, per il valore dato da noi al concetto di indipendenza e libertà, conquistato e perso nei secoli, animato da tanti patrioti che con il sacrificio della loro vita hanno difeso tali conquiste eterne, anteponendolo al loro tornaconto personale. Qui si potrebbe ricordare come da secoli l’Albania abbia combattuto tutte le oppressioni, prima con Skanderbeg, il nostro eroe nazionale e “l’Atleta di Cristo”, che contrastò gli ottomani, fino al secolo scorso, quando i nostri martiri hanno contribuito ad abbattere l’oppressione comunista.
Da qui il tema complesso e non riducibile, sempre aperto in tutto il vecchio continente, del concetto stesso di multiculturalismo, nella prospettiva di adesione unitaria alla stessa Unione Europea, con il percorso di avvicinamento intrapreso dall’Albania, come di tutti i Balcani. La nostra rivendicazione di una forte identità culturale, storica e linguistica, deve trovare spazio in un assetto federale europeo, senza dare alibi alle chimere indipendentiste, che pure agitano la vecchia Europa, dalla Scozia alla Catalogna, ma non solo.
Come dire, vanno tenuti insieme i valori dell’identità e delle differenze di tutti, riconoscendone pari dignità e autonomia, dentro però un Stato unitario, che consenta al nostro continente di competere con le grandi nazioni del mondo. Questa battaglia è vitale per far affermare universalmente i valori della democrazia liberale, della tolleranza e della civile convivenza, con tutte le sue libertà sociali, economiche e dei vari culti religiosi (con l’Albania esempio virtuoso).
Da qui una conclusione, solo parziale, di un dibattito aperto, complesso e non privo di contraddizioni, tra i diversi modelli delle politiche multiculturali. In primo luogo quella francese di integrazione-assimilazione, (con le sue tensioni anche di natura terroristica), a quella belga (in perenne scontro etnico tra le sue componenti), fino all’emergenza dell’immigrazione incompiuta come quella italiana.
Qui lo scontro, spesso demagogico e populista, resta per la ricerca dello “Ius Soli” o di quello più graduale e possibile dello “Ius Culturae”, superando il concetto precario di “immigrato-ospite”, al più tollerato.
Tutto questo per evitare un futuro di “ghettizzazione-securizzazione” di ogni comunità, come richiamato anche dal l’appello del Santo Padre, per la pace e la civile convivenza tra i popoli, senza muri ma costruendo ponti per contrastare le stesse involuzioni della Storia, tornando allo Stato di Natura. Un pericolo non scongiurato di xenofobia, intolleranza e odio per tante parti della nostra vecchia e nuova Europa.
*L’autrice è Presidente dell’associazione Integra Onlus e della Bridge for the Future Albania Foundation