Un no dell’Europa fra qualche giorno sarebbe, secondo tutte le probabilità, solo un rinvio nella concessione dell’agognato status e l’Albania, che per la Commissione UE e l’Europarlamento è già meritevole di esso, potrebbe averlo anche entro la primavera. Però il sapore del probabile no di questo dicembre sarebbe amaro e inspiegabile per noi albanesi
Di Gjergji KAJANA
Speriamo che gli olandesi si ravvedano e permettano che il Consiglio Europeo del 19-20 dicembre accordi all’Albania all’unanimità lo status di paese candidato. Una cosa, però, possiamo affermarla forte: un rifiuto non lo meritiamo. Se arriva, non possiamo definirlo altro che un semplice buffetto e non uno schiaffo perché nel 2013 i compiti a casa assegnatici da Bruxelles un anno fa li abbiamo presi molto sul serio. Lo schiaffettino, in effetti, l’UE se lo sta dando da sé, rifiutando lo status a un paese ancora molto euroentusiasta e che spera molto di far parte nella famiglia di valori europea per uscire dalla cronica arretratezza economica e sociale.
Nel 2009 Berisha si affrettò a chiedere lo status di candidato dell’Albania per sfruttare elettoralmente l’appena ottenuta adesione nella NATO. Incombevano le elezioni che lui vinse sul filo di lana tenendosi sulle spalle di Meta. Fino alle elezioni di questo giugno le nostre riforme sono rimaste in “stand-by” e andate avanti per inerzia a passo di lumaca per il lungo conflitto post-elettorale che contrappose PD e PS. Le nostre speranze di stato di diritto si insanguinarono il 21 Gennaio.
Un anno fa Bruxelles ci inflisse l’ennesimo “No”, raccomandandoci di approvare tre leggi sospese in Parlamento, abbassare i toni nazionalistici e svolgere elezioni libere e democratiche. Durante la campagna elettorale l’ex-premier abbandonò il nazionalismo. A maggio il Parlamento approvò le leggi in sospeso sui regolamenti parlamentari, lo status dei funzionari pubblici e le corti amministrative. Le elezioni furono (finalmente!) libere e democratiche e il passaggio dei poteri dal PD al PS fu pacifico a settembre. Il nuovo premier Rama ha dichiarato, appena insediatosi, la nuova politica di “zero problemi ” con i vicini, antitesi al nazionalismo dell’ultimo Berisha. I socialisti non sembrano intenti a darsi alla gran caccia penale dei funzionari del regime berishiano, anche se il livello di dialogo politico rimane in una soglia di perenne guerriglia. Un mese fa il paese sperimentò anche una forma pacifica di rivoluzione civile, con la protesta nelle piazze contro lo smantellamento dell’arsenale chimico siriano in Albania. Forse controvoglia, Rama rigettò la richiesta USA di dare corso a questa operazione di smantellamento.
Fra alcuni giorni il Consiglio UE deciderà se accordare a Tirana lo status di candidato all’adesione, anticamera ai negoziati di adesione che preludono all’entrata a pieni diritti nell’Unione. La risoluzione dell’Europarlamento approvata il 10 dicembre raccomanda la concessione dello status a Tirana, invitandola a miglioramenti nel dialogo politico, quello con la società civile, la consultazione dell’Avvocato del Popolo sulle iniziative legislative delle istituzioni governative, più diritti per la minorità rom e i non-eterosessuali e l’impegno a lottare la barbarica usanza della vendetta di sangue.
Un no dell’Europa fra qualche giorno sarebbe, secondo tutte le probabilità, solo un rinvio nella concessione dell’agognato status e l’Albania, che per la Commissione UE e l’Europarlamento è già meritevole di esso, potrebbe averlo anche entro la primavera. Però il sapore del probabile no di questo dicembre sarebbe amaro e inspiegabile per noi albanesi. Ci siamo sentiti orgogliosi di avere realizzato libere elezioni. Il nostro governo ha abbracciato un corso interamente filoeuropeo. Corruzione e degrado economico sono sul tappeto della realtà come un anno fa, ma politicamente, con la tenuta di buone elezioni, abbiamo dimostrato che ci teniamo alla democrazia (malgrado tante volte non lo diamo a vedere). Anche Tony Blair, Emma Bonino e Štefan Füle tifano per noi, solo gli olandesi e qualche deputato antieuropeista britannico dell’UKIP fanno spallucce. Non è colpa nostra se loro si dimostrano albanoscettici. Possiamo ragionevolmente affermare che il governo olandese di Rutte guarda alla pancia dell’elettorato del suo paese, uno dei paesi della cosiddetta Europa del Nord più toccati dalla crisi economica dell’UE. L’euroscettiscismo è un sentimento forte in Olanda e si manifestò palesemente nel 2005 con il rigetto in referendum dell’allora progetto di Costituzione europea. Il Partito della Libertà dell’estremista di destra Geert Wilders ha preso il 10% dei voti nelle elezioni politiche di un anno fa. L’allargamento ai Balcani non è un’idea popolare in questo spicchio “tulipano” d’Europa e già la Serbia – rallentata per lo status dall’Olanda – ne sa qualcosa. Forse il partito VVD di Rutte vuole giocare parte della campagna per le elezioni europee 2014 facendo l’occhiolino a questo elettorato euroscettico dato per votante in massa.
L’Albania, molto probabilmente, paga attualmente dazio al pentimento di gran parte dell’Europa per la precipitosa adesione di Bulgaria e Romania 7 anni fa e al timore di una ondata di richiedenti asilo dalla penisola più povera d’Europa. È l’Europa a sbagliare su Tirana però, perché i Balcani già procedono a doppia velocità nel processo di adesione: Montenegro e Serbia vanno meglio di Albania, Bosnia-Erzegovina e Kosovo (la Macedonia sarebbe sullo stesso treno di Belgrado e Podgorica ma pesa il veto greco sul problema del nome). Noi, con l’incoraggiamento dello status, avremmo le carte in regola per non rimanere troppo indietro a Serbia, Montenegro e Macedonia, ma il no dell’Olanda allunga i tempi dell’inizio dei nostri negoziati d’adesione, facendoci decisamente sorpassare dai serbi (in procinto di avviarli i negoziati, già in corso d’opera per i montenegrini).
Dall’incagliamento della candidatura albanese è tutto l’avvicinamento dei Balcani a rallentare, con possibili ricadute di aumento dell’euroscetticismo nella Penisola. Sono proprio sicuri l’UE e gli olandesi che sia questa la strada che i cittadini balcanici – e albanesi “in primis” – devono intravedere? Con un po’ di più di sano realismo, l’UE con un’Olanda più pragmatica potrebbe permetterci di sorpassare l’ostacolo status, pressandoci – giustamente – su corruzione e stato di diritto prima dell’avvio dei negoziati di adesione.
Rimaniamo sereni comunque: un no non è un rifiuto e a primavera l’ostacolo sarà sorpassabile. Che la sinfonia di allargamento suoni sulle orecchie olandesi!