Conoscersi in un luogo insolito: in un bunker
Adela Kolea
Il riparo più sicuro per chi si ritrova in mezzo ad una tempesta improvvisa, all’aperto? Una grotta, un nascondiglio anche tra i più modesti, l’importante che essi ci siano. Nel caso non ci fossero? Pregare e basta.
Il rifugio più sicuro ed attrezzato in caso di un attacco eventuale da parte del nemico immaginario per un’intera popolazione, quella albanese che viveva sotto dittatura, in cosa poteva consistere? Nient’altro poteva risultare meglio di un bunker, proprio adeguato al caso in questione!
La gente, al richiamo degli esponenti del Partito di una sezione determinata di un quartiere, doveva correre – anche se stufa di tutte queste simulazioni e prove inutili – e credetemi, non erano come le prove di evacuazione di oggi, quelle antincendio o antisismiche. L’ansia che trasmettevano quelle simulazioni, se non la si viveva sulla propria pelle, inutile descriverla.
Il bunker imponente, sempre presente nel quartiere da qualche generazione, attendeva i suoi “visitatori”.
Il bunker stesso sapeva che quei visitatori non gli rendevano poi alla fine una visita così gradita, ma solo perché ciò, a loro veniva imposto, perché per inerzia e costretti dalle circostanze, la gente si recava silenziosa in quella fortezza di cemento, con umidità, con qualche tela di ragnatela costruita a regola d’arte da qualche angolo, accompagnato dall’odore caratteristico della muffa e qualche scarafaggio che vi girava indisturbato.
Una caratteristica particolare consisteva nel fatto che nel suo interno, la gente, un po’ per sdrammatizzare la situazione che risultava stressante nei confronti dei bambini soprattutto, un po’ per ammazzare il tempo, iniziava a scambiare due parole – anche se sottovoce – a farsi delle nuove conoscenze perché no, in quanto nella zona c’erano tanti condomini e in una situazione normale, non è che capitava di conoscere tutti, o al massimo, si conoscevano soltanto di vista.
Un’altra caratteristica, ancora più particolare della prima, era la seguente: in quella situazione di emergenza, – a parte la dichiarata e tanto sostenuta “uguaglianza sociale” – si incontravano e si trovavano come compagni di avventura persone di vari ceti sociali, cioè operai, impiegati, dirigenti di aziende, professori, medici, ufficiali dell’esercito ecc.
Era proprio qui che il bunker “invadente” e curioso, diventava testimone di tanti episodi a cui lui assisteva durante queste simulazioni di “attacchi nemici”. Lui, al contrario, assisteva in silenzio, alla nascita di nuove amicizie o conoscenze, perché no, anche di qualche pettegolezzo.
Quella sera, la sirena di allarme era suonata più forte che di solito. Eva, una ragazzina quattordicenne, come lo interpretò questo? Come segno di un “attacco nemico” più serio e pericoloso di quelli che erano abituati a sentire. D’altro canto, ciò comportava anche un’ulteriore preoccupazione: quella che, il soffermarsi nel bunker di fronte al loro condominio, sarebbe risultato forse più lungo del solito e ciò non comportava che noia. Ma ben presto, Eva avrebbe capito che la situazione sarebbe risultata esattamente il contrario di ciò che lei aveva pensato, e questo, sapete perché?
Già nella fila all’esterno del bunker, prima di entrare, lei scambiò degli sguardi con un suo coetaneo, Ilir, un ragazzino che anche lui attendeva di entrare nel bunker con la sua famiglia.
In una situazione normale, questi due ragazzi non si sarebbero conosciuti, in quanto abitavano in due palazzine un bel po’ distanti l’una dall’altra, avevano diverse amicizie, frequentavano scuole diverse, luoghi diversi di intrattenimento.
Ebbene: tutte queste improbabilità si sarebbero constatate in una situazione “normale”, ma quella situazione non era per l’appunto normale: proprio qui consisteva l’eccezionalità di quella situazione di simulazione ed emergenza!
Tra tutto lo stress che comportava, senza che nessuno lo immaginasse, portava anche delle sorprese “gradevoli”!
I due ragazzini, dopo aver superato la fila per entrare, si ritrovarono in uno spazio, all’interno del bunker, limitato chiaramente per quel numero di persone, e fecero in modo, influenzando anche le loro famiglie, di sedersi vicini. Non si conoscevano prima, e non sapevano niente l’uno dell’altra. Non sapevano nemmeno che appartenevano a due classi sociali diverse – nonostante la classica uguaglianza – ma, di livelli di istruzione ed occupazione differente delle loro famiglie.
In una situazione normale, questo dettaglio, questa differenza, non sarebbero passati di certo inosservati.
E no, quella situazione non era affatto normale!
Dopo aver scambiato i primi sguardi, i due ragazzini iniziano a scambiare le prime parole, il primo impatto risulta per loro molto gradevole, di un’intesa inimmaginabile, che in parole diverse si interpreterebbe come la prima scintilla di un colpo di fulmine tra di loro!
Si trattò di una di quelle poche volte in cui, i ragazzi non si lamentarono della sirena di allarme e della simulazione di rifugiarsi in caso guerra! La vera “guerra” stava accadendo in quei momenti tra di loro, il bunker e gli occhi indiscreti della gente che li circondava. La vera “guerra” era tutto quello strano contesto, che trasformava anche le sensazioni ed i sentimenti, in una fortezza di cemento armato, con un sacco di difficoltà da affrontare, prima della vera vittoria!
Si trattò di una di quelle poche volte in cui, un bunker invadente e forse un po’ troppo curioso, capì che chissà perché, per le successive ed eventuali sirene di richiami di rifugio al suo interno di cemento freddo, almeno due ragazzini, non si sarebbero lamentati della situazione, solitamente noiosa per tutti, ma anzi, avrebbero riscaldato l’interno del bunker freddo, con i loro sentimenti caldi e puri nei confronti di l’un l’altra.
In una situazione normale, forse quei due ragazzi non si sarebbero mai conosciuti, ma quella era per l’appunto, una situazione anormale…
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