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Venti di migrazioni. Gente che va, gente che viene

Ondate di 20 anni fa di albanesi verso l’Italia, “ondate” di oggi di italiani verso l’Albania. Per queste ultime, molto diverse dalle prime, da un lato ci si sente bene per il progresso dell’Albania, dall’altro canto, da emigrato albanese in Italia, ci si sente male doppiamente, sia per il fatto che in centinaia di migliaia di albanesi stessi vivono lontano dal loro paese che per il fatto che il Belpaese soffri in questo modo, da dover far fare delle scelte di vita difficili a chi ci abita per nascita o scelta.
Di Adela Kolea

 

La nave Vlora al porto di BariCorreva il mese di maggio 1991.
Strana quella primavera. Una stagione strana per il mondo, per l’Europa ed i Balcani, ma soprattutto per due paesi come, Albania ed Italia. Una stagione trascorsa con uno spirito inadeguato da entrambi questi paesi. Uno spirito che, diversamente dall’allegria che di solito questa stagione diffonde di per sé, di quel periodo ne fu sofferente, angoscioso, oserei dire però, anche totalmente nuovo!

Definito “nuovo”, non perché quella primavera stava portando qualcosa di scientificamente diverso nell’atmosfera, non perché dal punto di vista meteorologico stava portando nell’aria fenomeni diversi, ma nel clima politico e sociale albanese, queste rigide novità furono ben evidenti, sconvolgenti!

Rigide le novità, ma ad ogni modo lineari e coerenti, in quanto rigidi lo erano stati fino a quei momenti, i parametri entro ai quali, agli albanesi era stato concesso “di respirare” l’aria che quella stessa atmosfera produceva. Chiaramente, portando una nazione semplicemente e dolorosamente al collasso.

Era da poco avvenuta un’ondata enorme come non mai, dalle dimensioni difficilmente dimenticabili – nel frattempo, si stava per preparare un’altra, storica per l’Albania – di emigrazione albanese verso le coste italiane.
L’ondata del marzo 1991.

Anch’io, ai tempi una ragazzina albanese, esattamente a maggio 1991 mi trovai in Italia, nella bella città marittima di Bari! Ma, in coerenza alla stagione “strana” dei tempi in corso, stranamente io mi trovai in Italia, non da profuga, ma da turista!

Eppure, nell’attraversare le strade di Bari, Brindisi e dintorni quel mese di maggio, a soli due mesi di distanza dall’esodo del marzo ’91, avvertivo la sensazione di percepire qualcosa di familiare. Proprio così, perché mentre attraversavo a piedi oppure in macchina con i miei parenti italiani le strade di queste città, mi capitava di guardare dei volti che naturalmente non potevo definire come noti, ma per il solo fatto che loro erano persone che venivano dal mio paese natale, l’Albania, mi sembravano familiari! Loro erano albanesi, ed erano davvero in tanti. Certo, non era mancata neanche qualche domanda da parte di amici e parenti italiani, del tipo: “Stai riconoscendo qualcuno per caso, perché vedo che stai osservando con molta attenzione?”.

Ma come facevo a riconoscere anche una sola persona tra tutta quella gente, partita da ogni angolo dell’Albania! Come facevo a riconoscere qualcuno, tenendo conto anche della mia giovanissima età, quella adolescenziale.
Tutti dall’aspetto sofferente e difficilmente riconoscibile: in una buona parte, capelli lunghissimi per gli uomini, a dispetto di tutte le imposizioni ed interdizioni dittatoriali fino ad allora subite, poi, barbe e baffi. Le donne, dall’aspetto stanco, triste, preoccupato – com’era normale che lo fosse in quel contesto – cosa che, comportava per loro anche una sorta di trasformazione nel viso, nonostante la giovane età generalmente ed i bei lineamenti fisici.
Tutti con ancora addosso un susseguirsi di traumi: quello della dittatura sotto la quale avevano vissuto una vita e quella appena effettuata, dell’attraversata del mare, di quella impresa, la più difficile della loro vita, di quel rischio e quel peso psicologico che avevano dovuto subire. Praticamente, tra l’altro, questo fu anche il periodo in cui venne confezionato un certo disegno – corretto fino ad un certo punto – dello stereotipo dell’immigrato albanese.

Ahimè, questo d’oggi non è solo periodo di ricordo od anniversari degli esodi del 1991 da parte degli albanesi verso le coste italiane, ma di esodi nuovi!
Si sente parlare appunto di una notevole ondata di migrazione ma italiana questa volta, verso l’Albania! Che non me ne abbia chi, oggi, fa certi paragoni tra le ondate di migranti albanesi verso l’Italia, e l’emigrazione attuale, di italiani verso l’Albania. Con tutto il rispetto e la sensibilità della situazione difficile e delicata che si crea davanti ad una persona, ad un intero popolo, da spingerlo ad emigrare.

Navi che invertono rotte, ma non solo: aerei di varie compagnie che da vari aeroporti italiani raggiungono il “Madre Teresa” di Tirana, macchine e mezzi vari insomma, differenti per forma e per natura da quelli degli albanesi degli anni ‘90, ma che come tragitto e destinazione, hanno simili percorsi: quelli legati al tratto Italia – Albania! E differenti sono anche le loro collocazioni nella vita e nei determinati campi della società albanese, compreso il lavoro, lo studio ecc. Differenti le loro aspettative, le reazioni loro personali, quelle dell’ambiente che trovano e, in alcuni casi, anche quelle dell’ambiente che lasciano.

Chissà come si sentono tutti i discendenti di quei italiani che, a distanza secolare di tempo, sono stati loro protagonisti della grande emigrazione italiana nel mondo! Un’altra emigrazione quella, che ha segnato la storia dell’Italia.
Mi venne in mente un frammento dall’opera – reportage “Sull’oceano” di Edmondo De Amicis, scritta nel 1884, riferita proprio a quella grande emigrazione italiana di fine ‘800, inizi ‘900, ma sempre attuale e portatrice di brividi nel suo effetto: “Quando arrivai, verso sera, l’imbarco degli emigranti era già cominciato da un’ora, e il Galileo, congiunto alla calata da un piccolo ponte mobile, continuava a insaccar miseria: una processione interminabile di gente che usciva a gruppi dall’edificio dirimpetto, dove un delegato della Questura esaminava i passaporti. La maggior parte, avendo passato una o due notti all’aria aperta, accucciati come cani per le strade di Genova, erano stanchi e pieni di sonno. Operai, contadini, donne con bambini alla mammella, ragazzetti che avevano ancora attaccata al petto la piastrina di latta dell’asilo infantile passavano, portando quasi tutti una seggiola pieghevole sotto il braccio, sacche e valigie d’ogni forma alla mano o sul capo, bracciate di materassi e di coperte, e il biglietto col numero della cuccetta stretto fra le labbra.
Due ore dopo che era cominciato l’imbarco, il grande piroscafo, sempre immobile, come un cetaceo enorme che addentasse la riva, succhiava ancora sangue italiano”.

Da un lato, oggi ci si sente bene per il progresso dell’Albania, divenuto tale da poter incentivare l’attesa di questi migranti italiani.
Dall’altro canto, ci si sente male per quei albanesi costretti a vivere ormai lontano dalla propria terra, avendo al loro tempo, effettuato sulla propria pelle, l’emigrazione albanese in Italia o altrove.
Dall’altro canto ancora, ci si sente male doppiamente – dalla posizione dell’emigrato albanese in Italia – che il Belpaese soffri in questo modo, da dover far fare delle scelte di vita difficili ai propri italiani, e di conseguenza, far sentire il peso della crisi anche ai suoi immigrati, inevitabilmente.

Periodo confuso e delicato questo, – nel mondo intero, per la crisi e per vari motivi politici o sociali, oltre a quelli economici – che tra questi due paesi specialmente, tra questi due buoni ed eterni vicini, come l’Italia generosa ed accogliente e l’Albania sofferta, lo si vive e si affronta diversamente.

Diventa alla fine, una situazione che solo due buoni vicini, legati da un forte senso di fratellanza, sanno come far funzionare bene e mantenere in equilibrio, in un tale equilibrio da poter permettere ad entrambi i popoli di beneficiarne i risultati positivi.
Ed è solo questo, il bene che si augura alle mie due care ed inseparabili terre: Albania ed Italia.

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