Verrà presentata la traduzione in lingua italiana del romanzo di Ylliet Aliçka “Il sogno italiano”, ispirato alla storia dei sei fratelli Popa che a cavallo degli anni ’80 e ’90 vissero una vicenda emblematica della tragicità dell’emigrazione nel mondo e del sacrificio affrontato dalla popolazione albanese nella marcia verso la transizione democratica.
L’evento – che si terrà il 20 aprile alle ore 18,00 nella Sala attigua alla Chiesa Valdese, in Piazza Cavour, a Roma, – è promosso dall’ Associazione “Occhio Blu Anna Cenerini Bova” con la rivista “Confronti” e la Casa Editrice Rubbettino. Sarà presente anche l’autore, Ylljet Aliçka, uno dei più importanti scrittori albanesi contemporanei.
L’incontro si aprirà con i saluti di Luigi Franco, direttore editoriale Casa Editrice Rubbettino e di Claudio Paravati, direttore della rivista Confronti.
Interverranno:
Oliviero La Stella, giornalista e scrittore
Rando Devole, sociologo
Mauro Geraci, antropologo, professore Università di Messina
Modererà l’incontro l’ambasciatore Mario Bova, presidente dell’Associazione “Occhio Blu – Anna Cenerini Bova”.
Due parole sul romanzo “Il sogno italiano”
Albania, dicembre 1985: la famiglia Tota, composta da quattro sorelle e due fratelli, si rifugia all’ambasciata italiana di Tirana chiedendo asilo politico. Lo stato totalitario albanese è esterrefatto. Si tratta di un evento senza precedenti non solo in Albania, ma in tutto il blocco dei paesi ex-comunisti dell’Europa orientale.
Tuttavia, i Tota usciranno dall’ambasciata solo cinque anni più tardi, dopo lunghi negoziati internazionali e una vita del tutto isolata e costantemente sorvegliata. Alloggiati in due stanze seminterrate dell’edificio, alternano speranza, delusioni, sogni di un “matrimonio all’italiana” e sofferenze psicologiche. Durante quei cinque anni, tra poliziotti, diplomatici e servizi segreti albanesi si verrà a creare ogni tipo di incidente e malinteso.
Solo nel maggio del ’90 i sei protagonisti arrivano trionfalmente in Italia. Ma anche qui le cose non vanno come loro si aspettano: i Tota si sentono eroi che hanno combattuto la dittatura albanese e così vorrebbero essere trattati. Invece, ovviamente, entrano nella routine burocratica dei richiedenti asilo: prima sono trasferiti in un campo per rifugiati politici e in seguito, loro malgrado, ospitati in un alloggio popolare nel quale vivranno dimenticati da entrambi i Paesi, incapaci di integrarsi nella nuova patria e di dare un senso alla loro libertà.
«Con un tono apparentemente neutrale, Aliçka riesce ad evocare una realtà che appare sia ridicola che terrificante, e lascia che le vicende scorrano libere, senza forzature» (Ismail Kadare)